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Pacifista, Maya e presbiteriano

Vitalino Similox, sociologo settantaquattrenne, pastore di etnia maya kaqchikel della Chiesa evangelica nazionale presbiteriana del Guatemala (Ienpg) ed ex segretario generale del Consiglio ecumenico cristiano del Guatemala (composto dalle Chiese cattolica, episcopale, luterana e riformata), ha svolto come leader della Conferenza di Chiese evangeliche del Guatemala (Ciedeg) un ruolo di grande rilievo durante i negoziati di pace, che nel 1996 portarono agli accordi tra il governo e la guerriglia di sinistra dell’Unità rivoluzionaria nazionale guatemalteca (Urng), mettendo fine a 36 anni di guerra civile. Poi nel 1999 è stato candidato alla vicepresidenza della Repubblica per l’Alleanza nuova nazione, di centrosinistra, e oggi è rettore dell’Università Maya Kaqchikel di Chimaltenango.

Come descriverebbe il mondo evangelico in Guatemala?

In Guatemala gli evangelici sono circa il 45 per cento della popolazione e solo l’1 per cento appartiene alle Chiese protestanti storiche. Le Chiese evangeliche si sono innamorate del potere politico ed economico, venendo persino coinvolte nel narcotraffico, per cui ci sono narcopastori e narcoChiese, come si è visto nel caso del boss Juan Órtiz, alias Chamalé. La destra politica ha poi approfittato di pastori senza formazione biblica e teologica che fanno campagne contro la diversità sessuale, in cui convergono settori evangelici e cattolici conservatori. Quindi il movimento evangelico non ha più una voce critica e profetica. Le Chiese protestanti storiche sono assorbite da questioni interne, la Ciedeg ha perso incidenza politica e il Consiglio ecumenico cristiano del Guatemala si è indebolito. 

Che significa essere maya e presbiteriano?

Sono sempre stato consapevole dalla mia identità maya, tanto che negli anni ’60 creai con altri una rete di comunità etniche nella Ienpg, denominata Presbiterio kaqchikel, mentre nel presbiterianesimo ho imparato che la Chiesa essere coscienza critica della società e questo, insieme alla mia formazione sociologica, mi ha condotto a maturare una coscienza di classe e un’opzione politica a favore del cambiamento delle attuali strutture di ingiustizia, oppressione, corruzione. Oggi cerco di dare il mio contributo al dialogo tra cultura maya e cristianesimo. Essere maya e presbiteriano significa dare una risposta a una società in crisi, fondata su un pensiero lineare, positivista, come spiega Boaventura De Sousa Santos, secondo cui le epistemologie del Sud del mondo, che si basano sull’esperienza più che sulla razionalità, vanno messe al servizo dell’umanità, in un dialogo di saperi. L’Università Maya Kaqchikel cerca di recuperare e sistematizzare le pratiche tradizionali e favorire un confronto tra l’educazione convenzionale e la scienza, la filosofia e la tecnologia maya. 

L’esperienza indigena ha influito sulla Ienpg?

No. Oggi non vedo neanche in altre Chiese protestanti alcun movimento paragonabile a quello del Presbiterio kaqchikelnegli anni ’70-80, che si è esaurito. Molti indigeni non vogliono sapere nulla di Chiesa, il che mi infastidisce, ma mi ripetono che “la decolonizzazione passa per la scristianizzazione”; io obietto: “Non necessariamente. Nella mia esperienza per essere maya non ho bisogno di rinunciare al cristianesimo, che, anzi, mi ha insegnato a rifiutare l’ingiustizia”. Comunque nelle sei Università maya di cristianesimo non si parla, ma tutto deriva dalla spiritualità indigena.

Quali sono stati i successi e le carenze del lavoro ecumenico in Guatemala?

Il contesto ha permesso e facilitato un movimento ecumenico come quello degli anni 80-‘90, con l’impegno di tutti coloro che volevano la pace e il superamento delle cause del conflitto armato, a cominciare dalla povertà. Era un ecumenismo impegnato socialmente. Ora non vedo un tema con lo stesso potere unificante. 

Che prospettive vede per il Consiglio latinoamericano delle Chiese (Clai), che pare in perenne crisi e ristrutturazione, pur restando il principale organismo interprotestante del continente?

Ancora una volta mi pare determinante il contesto per permetterne la stabilità. Non vedo in America latina un tema, che mobiliti le Chiese, neanche quello del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. E il Clai è diventato terreno di lotte di potere tra posizioni politiche e di competizione tra gruppi per i finanziamenti delle agenzie internazionali di cooperazione, che peraltro dispongono di meno denaro.