all-e1504357669984

Alluvione Marche: cultura del territorio ancora lontana dall’essere formata e condivisa.

Essere stati, giovedì scorso 15 settembre, nel cuore di Senigallia, permette, ancora una volta, qualche riflessione sul nostro territorio, fragile e dimenticato. Anche se si è semplicemente in vacanza, avendo scelto l’Adriatico perché di solito le alluvioni tardo-estive avvengono in Liguria o in Toscana; ma anche perché abbiamo alle spalle, nelle valli valdesi come in altre zone d’Italia, storie di alluvioni, di disastri, di lutti.

In un settembre caldo, più caldo del solito come del resto tutta l’estate, visito la città; al mattino, perché il meteo dà per il pomeriggio “possibili temporali”. Bello il centro storico, negozi, portici antichi, ristoranti; e un torrente, il Misa, che attraversa tutto il paese: poco più di un rigagnolo che fatica ad arrivare alle foce.

Basteranno poche ore per scatenare l’inferno: ponti ostruiti dagli alberi arrivati dai monti che fanno diga, l’acqua che fuoriesce ovunque travolgendo auto e tutto ciò che incontra, allagando case e soprattutto locali commerciali e artigiani ovviamente a pianterreno, travolgendo i bagni nel tratto di spiaggia vicino al fiume. Danni per milioni di euro, famiglie in ginocchio. E più su, nell’Appennino, prima dei danni materiali, i morti, 11 certi a lunedì, probabilmente 13 alla fine.

Drammaticamente si torna a parlare di territorio; succede sempre così. Ma dura un paio di settimane. Poi, eccetto chi sta vivendo direttamente la crisi, si tende a dimenticare.

Eppure questa, come tutte le altre tragedie, merita un pensiero. Lo meriterebbe tanto più in questi giorni pre-elettorali; ci sarà senz’altro chi proverà a sguazzare in questo fango. Ma è da prima che bisogna pensarci.

Certo 400 mm di acqua in 4-5 ore sono tantissimi, 40 lt al metro quadro difficilmente vengono assorbiti tanto più da un terreno indurito dalla siccità. Ma è dal quotidiano che si costruisce la prevenzione. Anzitutto: una montagna sempre più abbandonata e – al di là dei proclami – con poche risorse, ha dei problemi a fare prevenzione. Cade un albero lungo un piccolo rio? Rimane là perché, non abitando nessuno, non arriveranno segnalazioni; quel tronco magari ce lo ritroveremo addossato a un ponte fra 10 anni, trasportato da una piena oppure tizzone di fuoco in caso di incendio.

I problemi si assommano: se la montagna ha già seri problemi di connessione telefonica in condizioni normali, figuriamoci in casi come questi. Un fulmine fa saltare un’antenna telefonica o la mancanza di corrente elettrica, ed ecco che il semplice contatto fra persone spesso sparse in piccoli borghi viene a mancare e con esso anche una catena di informazioni: se a monte un torrente tracima, state pur certi che, tempo un paio d’ore, scaricherà tutta la sua forza a valle. Un sistema di informazione efficace può evitare se non i danni, almeno i morti.

Perché come sistema paese siamo bravi, di solito a gestire l’emergenza, con competenza e grande generosità anche dei singoli. Molto più difficile sostenere la messa in sicurezza a monte e a valle, con scelte talvolta impopolari, sempre costose, e con una cultura del territorio ancora lontana dall’essere formata e condivisa.