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Frutta: prezzi troppo bassi

La stagione calda ha regalato frutta zuccherina, colorata e succosa, ma solo perché questo settore ha ormai imparato a difendersi da siccità e dalle tempeste investendo molto in scavi di pozzi, impianti irrigazione, reti anti grandine. 

Sono dunque gli investimenti, onerosi, delle aziende ortofrutticole ad avere salvato la frutta della provincia di Torino che immette sul mercato mondiale circa 500.000 quintali di prodotto e occupa quasi 3.000 ettari, concentrati soprattutto nel Pinerolese ma con estensioni significative anche in Canavese e Chierese. 

Ma ora tutta questa preziosa risorsa di zuccheri essenziali, vitamine, antiossidanti e fibre rischia di rimanere sugli alberi perché, lamenta Coldiretti, non ci sono i soldi per la raccolta e la conservazione e perché grossisti e grande distribuzione non offrono una giusta remunerazione ai frutticoltori.

Gli investimenti per mettere al sicuro la produzione di frutta, riparandola dagli eventi climatici, sono relativamente recenti e hanno fatto da apripista per quelle buone pratiche che oggi vengono suggerite a tutti i comparti agricoli per produrre cibo anche in epoca di grande siccità e di improvvise bombe d’acqua. Ma questa lungimiranza ora non viene ripagata dal mercato.

Un esempio di investimenti per l’annata frutticola lo traccia Sergio Bunino, tecnico di Coldiretti Torino. «Prendiamo un meleto di Golden delicious, la mela gialla che tutti conosciamo. Questa mela viene prodotta con lotta integrata, il melo è ben potato, diradato e rifinito a mano, difeso con i prodotti ammessi dai disciplinari della lotta integrata, irrigato con pozzo aziendale. La qualità allo stacco è eccellente per forma del frutto e pezzatura, ma questo risultato costa al produttore dai 40 ai 45 centesimi di euro al kg. Su una produzione che ha stimato sui 1.200 quintali ha speso, finora, 42.000 euro: gli rimangono ancora da sborsare all’incirca 12.000 euro per la raccolta (10 centesimi di euro per kg raccolto). Ma quanto gli viene offerto? Dai 15 ai 20 centesimi al kg, meno del 50% del costo di produzione. Ancora peggio per il biologico che registra un calo del 20-30% del prezzo riconosciuto al produttore a fronte di un aumento medio dei costi di produzione che si avvicina al 30%: anche qui non si coprono i costi di produzione».

Siamo a fine settembre, in piena raccolta di mele e pere a chiudere la lunga estate della frutta iniziata con fragole e ciliegie e proseguita con mirtilli, albicocche, pesche, prugne, susine e ramassin. I produttori hanno imparato a conservare la frutta con impianti ad alta tecnologia che garantiscono croccantezza e lucidità della buccia anche a parecchi mesi dallo stacco.

«Invece di vendere tutto subito – continua Bunino – si potrebbe stoccare il prodotto in cella frigo sperando in una ripresa delle contrattazioni in primavera con prezzi adeguati. Le aziende attrezzate per la conservazione si devono accollare un’altra spesa dai 15-20 centesimi al kg per la sola refrigerazione, più altri 10 centesimi al kg per la movimentazione e l’imballaggio». 

È evidente che non siamo di fronte a un equo compenso per il lavoro svolto.

Se ai produttori non viene riconosciuto un equo compenso, di fronte al profondo rosso del 2021 e di fronte ai rincari di energia, fitofarmaci e materiali, questa rischia di essere una nuova annata in perdita che potrebbe vedere molte aziende abbandonare prima i frutti e poi i frutteti. Proprio ora che con l’uscita dalla pandemia e l’arrivo dell’inverno leggiamo dei consigli dei nutrizionisti che ci dicono di mangiare più frutta con le sue vitamine e i suoi antiossidanti.

«Non possiamo accettare – conclude Bruno Mecca Cici, responsabile di Coldiretti Torino – che il prezzo remunerato per un prodotto deperibile sia al di sotto del suo costo di produzione».