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Nessun passo indietro

Che cosa ci può essere di interessante sul pastorato delle donne che non sia già stato detto? È l’interrogativo che mi sono posta mentre volavo a Vienna per partecipare ad un incontro sull’empowerment del pastorato femminile organizzato dalla Comunione di chiese protestanti in Europa che ha raccolto, oltre alla sottoscritta, molte partecipanti dalle chiese luterane e riformate dell’est e del nord Europa, oltre che alcune pastore della chiesa luterana dell’Austria e dell’Italia.

Se per me (che sono una pastora figlia di pastora, cresciuta in una chiesa che da almeno trent’anni ha circa un terzo del corpo pastorale composto da donne) il pastorato delle donne è naturale, non si può dire lo stesso per altre donne evangeliche cresciute in altri contesti, e non è ovvio per altre chiese in cui le donne pastore ancora oggi sono una rarità e vivono difficoltà rilevanti. Non è scontato per Karina Chwastek Kamieniorz, una pastora della Chiesa evangelica della Polonia che ha lavorato per ventidue anni come diacona prima di essere consacrata pastora lo scorso aprile insieme ad altre otto donne. Non lo è per Sigta Veinzierl, unica pastora donna della Chiesa luterana di Lituania.

Oltre alla condivisione delle proprie esperienze tra sorelle nel ministero, al centro del nostro incontro sono stati portati tre esempi differenti di pastorato nella Chiesa luterana dell’Austria. Julia Schnizlein, originaria della Germania, giornalista prima di diventare pastora, ha raccontato la sua esperienza di lavoro nel mondo della chiesa digitale, a partire dal suo progetto di pubblicazione di un sito e di una pagina Instagram @juliandthechirch per dare corpo (e anche immagine) e visibilità alla vita della chiesa attraverso il pastorato, raccontato passo dopo passo anche dietro le quinte del lavoro pastorale. Per questo suo progetto la Chiesa luterana dell’Austria le riconosce un tempo parziale di servizio come pastora online.

Dace Dislere-Musta ha invece narrato il suo complesso e tortuoso percorso verso il pastorato nella Chiesa luterana della Lettonia che alcuni anni fa ha fatto un passo indietro sull’ordinazione delle donne. Da quel passo indietro Dace ne ha dovuti compiere molti per arrivare in Austria e scoprire di avere bisogno dell’aiuto di altre persone, e quindi la necessità di costruire una rete di relazioni in cui la solidarietà e l’incoraggiamento di altre donne le hanno permesso di lavorare meglio e di riconoscere tutta l’enorme potenzialità del tessere relazioni tra donne anche al di fuori della chiesa per un pastorato felice.

Di reti sociali ha parlato anche Anna Kampl, di origine ceca, cresciuta nella Chiesa dei Fratelli Moravi, spinta a fare la pastora dal motto del pastore e compositore per una rockband Svatopluk Karasek: «credere non significa vivere da qualche parte dietro un muro». Questa frase l’ha portata a realizzare dopo lunghi anni e non poche difficoltà come donna straniera in Austria il suo ministero per una comunità inclusiva, che sfuma i suoi confini per aprirsi a chi non è evangelico, a chi non si sente socialmente accettabile.

Due sono state le strategie individuate per rafforzare le colleghe e incentivare il pastorato tra le donne delle nostre comunità: la visibilità e la tessitura di reti significative di relazioni tra donne.

Un’interessante osservazione provocatoria della pastora e membro dell’esecutivo della Chiesa luterana dell’Austria, Ingrid Bachler, ha aperto la discussione sulla visibilità delle pastore e il loro ruolo di potere oltre che di responsabilità, ad esempio negli organi esecutivi delle chiese: «le donne dovrebbero iniziare a parlare bene delle donne». Questo ridurrebbe competitività, invidia e aggressività che talvolta pervadono le relazioni tra colleghe e impediscono ad esse di esercitare con autorevolezza il loro incarico.