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Benin, leader religiosi pregano per la Pace

Su iniziativa di Sant’Egidio Benin, il 26 novembre si è svolto a Cotonou un incontro interreligioso e di preghiera per la pace. È stata un’occasione per i leader religiosi cristiani e musulmani e per i seguaci delle religioni endogene di riflettere e pregare sulla pace in un contesto segnato dall’aumento dell’estremismo violento e dalle imminenti elezioni legislative.
Riunire leader religiosi, politici, diplomatici, accademici, membri della società civile e giovani per la costruzione della pace nel mondo e in particolare nella subregione dell’Africa occidentale e in Benin. È questo l’obiettivo che Sant’Egidio Benin si è posto nell’avviare questo incontro interreligioso, una prima edizione nell’era post-Covidio 19, riprendendo così una tradizione che l’istituzione perpetua in Benin dal 2009.
 
«Questo incontro interreligioso si svolge in un contesto delicato. La guerra è tornata sul territorio europeo, tra Russia e Ucraina», ha dichiarato Léopold Djogbédé, leader nazionale di Sant’Egidio Benin. «In Africa, i capitoli della guerra non sono finiti; il Mali settentrionale sta lottando per uscire dalla spirale di violenza; i confini del Benin con il Burkina Faso e il Niger sembrano meno sicuri. Il terrorismo ha preso piede nelle nostre regioni con il suo corollario di rifugiati».
 
Sottolineando la sfida dell’evento, l’arcivescovo Mark Gerard Miles, nunzio apostolico in Benin e Togo, ha affermato: «Le nostre religioni sono capaci del meglio e del peggio. Possono servire la società ma anche alienarla. In loro nome si può predicare la pace o la guerra». Da qui la necessità, secondo l’arcivescovo di Cotonou Roger Houngbédji, che «i leader religiosi e i responsabili delle decisioni ai vari livelli della società civile si siedano per vedere come possono contribuire all’instaurazione della pace».
 
L’incontro interreligioso, suddiviso in tre panel, si è concentrato, tra l’altro, sulla «responsabilità delle religioni di fronte all’aumento dell’estremismo violento nella subregione dell’Africa occidentale e in Benin». Aprendo questo primo panel, El Hadj Roufaï Mani, commissario incaricato del dialogo interreligioso all’interno dell’Unione islamica del Benin (Uib), non ha esitato a denunciare «la diffusione di messaggi religiosi radicali da parte delle religioni attraverso le reti sociali e i luoghi di culto come fattore che contribuisce alla diffusione di una visione rigorista o addirittura violenta della religione».
 

El Hadj Mani ritiene che «i leader politici e religiosi svolgano un ruolo importante nell’indottrinamento e nella manipolazione dei giovani, in particolare attraverso incentivi finanziari» perché, spiega, «tra i fattori dell’estremismo violento ci sono la povertà, l’esclusione sociale e l’ingiustizia». E ha concluso: «L’Islam combatte qualsiasi atto di violenza, di terrorismo, sia armato che verbale».

Il rappresentante della Chiesa protestante metodista del Benin (Epmb), il pastore Inex Chokki, ritiene necessario che le religioni «ripensino le loro pratiche, i loro insegnamenti e soprattutto il loro rapporto con il sacro per vedere cosa non funziona e cosa si dovrebbe fare per sradicare il male dell’estremismo religioso».

Altri due panel si sono concentrati sulla “società civile beninese” e sull'”impegno dei giovani”. Ma il momento clou dell’incontro è stato il palco dove, una dopo l’altra, le delegazioni musulmane, cristiane e delle religioni endogene hanno pregato, implorando la pace per il Benin e per il mondo intero.

Hanno poi firmato un appello per la pace, le cui prime parole sono: «Riuniti a Cotonou nello spirito di Assisi, abbiamo pregato per la pace secondo le nostre diverse tradizioni ma con un cuore solo (…) Fermamente convinti, diciamo: basta con la guerra! Fermiamo ogni conflitto».