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La rosa della libertà

Il 17 febbraio 1943 a Monaco di Baviera il cielo è plumbeo, ma il sole inizia a fare capolino con i suoi tiepidi raggi. Sophie Scholl, mentre scriveva alla sua amica Lisa, ascoltava il Quintetto La Trota di Schubert. In quelle note Sophie sente un preannuncio di primavera: «Oh, la primavera mi rende così felice! In quest’opera di Schubert si distinguono e si odorano l’aria stessa e i profumi». Non immaginava che il giorno dopo, con il fratello Hans, sarebbe astata arrestata all’Università dopo aver posato dei volantini antinazisti nei corridoi davanti alle aule. Quattro giorni dopo, il 22 febbraio, Sophie, con il fratello Hans e l’amico Christoph Probst, saranno ghigliottinati. Alcuni mesi dopo seguiranno la stessa sorte Alexander Schmorell, Kurt Huber e Willi Graf.
Il gruppo della Rosa Bianca era composto da un piccolo nucleo di giovani, tutti poco più che ventenni, a cui si era aggiunto il più anziano professore Kurt Huber. Con i simpatizzanti il gruppo non supererà il numero di qualche decina di persone.

Di fronte al criminale regime di Hitler questi giovani studenti universitari non vollero più tacere. Un imperativo etico li spinse a uscire allo scoperto, con il tentativo (deluso) di scuotere dal loro torpore i tedeschi. Passività per loro inspiegabile. È ancora Sophie a scrivere: «come ci si può aspettare che, allora, il destino conceda vittoria a una giusta causa, quando nessuno è pronto a sacrificarsi pienamente per essa?». In che modo risvegliare il popolo tedesco e spingerlo a opporsi al nazismo? Con quello che si aveva: un ciclostile, fogli di carta, buste e francobolli. I giovani della Rosa Bianca stilano, stampano e distribuiscono, tra l’estate del 1942 e il febbraio del 1943, sei volantini che vengono spediti a persone in diverse città, lasciati di sfuggita in alcuni locali pubblici e nelle cabine telefoniche. Era l’unico modo per uscire allo scoperto, far sentire che non tutti i tedeschi erano dalla parte di Hitler, dare un segnale, risvegliare l’orgoglio e battersi per la liberta, iniziare un movimento di riscossa antinazista.

Il volantino è lo strumento con il quale si passa dalle discussioni teoriche all’azione. In essi si ricorda che il bene supremo dell’uomo è la libera volontà, si denuncia che i tedeschi sono diventati un massa vile e ottusa, mentre è dovere di ognuno opporsi al fascismo e a ogni sistema simile di Stato assoluto. L’unico modo di opporsi era «resistere ovunque voi siate», impedire il funzionamento della macchina da guerra nazista. Questo senza scaricare su altri le responsabilità di quanto sta accadendo: «Non dimenticate che ogni popolo merita il governo che tollera».

Viene denunciato lo sterminio degli ebrei che stava avvenendo in Polonia: «sono stati trucidati in quel paese nel modo più bestiale trecentomila ebrei». Si chiede il perché il popolo tedesco si mantiene inerte di fronte a tali crimini e «continua a dormire nel suo sonno ottuso e stupido». Una chiamata a correo dei tedeschi e sulla loro responsabilità, un invito a scuotersi per non essere poi giudicati con lo stesso metro con il quale saranno giudicati i criminali nazisti. Si trattava di battersi per la «libertà di parola, libertà di fede, difesa dei singoli cittadini dall’arbitrio degli stati criminali fondati sulla violenza. Queste sono le basi della nuova Europa». Non solo conquistare la libertà, ma erano consapevoli che la pace poteva essere conseguita solo con uno spirito di solidarietà e di giustizia tra i popoli, sconfiggendo ogni ideologia nazionalistica e autarchica perché «Ogni popolo, ogni individuo ha diritto ai beni della terra!».

La Rosa Bianca era consapevole della difficoltà che quelle parole scritte e diffuse potessero bastare a scuotere il torpore del popolo dalla propria indifferenza, ma quei militanti sapevano che quella, in quel momento, era l’unica strada percorribile. Si trattava di contrapporsi all’ideologia imperante del Terzo Reich, alla manipolazione della verità, del significato delle stesse parole. Kurt Huber nella sua arringa di difesa in tribunale afferma di aver lottato «attraverso semplici parole per provocare, non un gesto di violenza, ma la comprensione morale dei gravi mali presenti nella vita politica». Un impegno sospinto non da un progetto politico, ma da un’esigenza morale di non tacere, un dovere non solo verso sé stessi e il popolo tedesco, ma anche verso le altre nazioni schiacciate dalla violenza nazista. In caso contrario, scriveva Willi Graf, «Il nome tedesco rimarrà disonorato per sempre, se la gioventù non insorgerà ed insieme vendicando ed espiando, non schiaccerà i suoi aguzzini e non darà origine a una nuova Europa dello spirito». Karl Barth rammenta che i tedeschi sono stati per tanto tempo ufficiali o soldati, pronti ad ubbidire, ma era il momento di “diventare cittadini”.

I Giovani della Rosa Bianca avrebbero potuto, come fecero molti, stare alla finestra, aspettare che la ferocia nazista finisse la sua era, oppure limitarsi all’opposizione da salotto, davanti a una birra o un tè, mentre nei forni crematori dei campi di sterminio uomini, donne, bambini venivano barbaramente trucidati. Erano consapevoli di rischiare la vita per un alto ideale di libertà, ma non hanno avuto dubbi o tentennamenti, neanche Christoph Probst padre di tre figli. Hanno agito seguendo quanto una voce interiore suggeriva loro: assumersi la responsabilità di combattere per una giusta causa. Per una nuova Germania ed Europa fondata sulla libertà e sulla giustizia.

Il 22 febbraio 1943, il sole concede il suo tramonto, i suoi ultimi raggi si attardano a scomparire, si riflettono e fanno brillare le immacolate nevi del massiccio dello Zugspitze. Dopo Sophie e Christoph, è il momento di Hans di appoggiare la testa sul ceppo della ghigliottina mentre il suo grido risuona per tutto il carcere: “Evviva la libertà”.

Lorenzo Tibaldo ha pubblicato nel 2014, per l’editrice Claudiana, il libro La Rosa Bianca, giovani contro Hitler (pp. 215, euro 14,90) che, attraverso lettere, frammenti di diari e la ricostruzione storica da parte dell’autore, documenta l’attività del gruppo tedesco volta a promuovere una reazione contro il regime nazosta e le sue logiche di morte.