640px-lac_leman_entre_glion_et_caux

Dibattito sui battesimi nel lago di Ginevra

La Chiesa evangelica di Cologny sta portando il caso dei battesimi vietati nel lago di Ginevra al Tribunale federale. Lo ha annunciato martedì 7 febbraio la Rete evangelica svizzera (Res) in un comunicato stampa. La decisione arriva dopo che la Camera Amministrativa della Corte di Giustizia del Cantone di Ginevra ha respinto un primo ricorso il 20 dicembre, giudicando «la restrizione imposta come legalmente ammissibile».
L’articolo che racconta questa vicenda è curato da Anne-Sylvie Sprenger del portale elvetico ProtestInfo (https://www.reformes.ch/politique/2023/02/baptemes-dans-le-lac-interdits-geneve-est-ce-legal-eglises-laicite-bapteme-droit),

Il contesto. Il 27 giugno 2022, il Dipartimento per la sicurezza, la popolazione e la salute di Ginevra ha rifiutato la richiesta di autorizzazione, presentata dalla Chiesa evangelica di Cologny, per la celebrazione di un battesimo sulla spiaggia di Collonge-Bellerive, che avrebbe dovuto svolgersi domenica 3 luglio, al mattino presto.

La legge cantonale sulla laicità del 2018 (Lle) stabilisce che se «gli eventi religiosi si svolgono in ambito privato» (art. 6, comma 1), possono tuttavia «eccezionalmente (…) essere autorizzati in ambito pubblico» (art. 6, comma 2). La richiesta viene quindi presentata all’autorità competente, che deve tenere conto «dei rischi che l’evento può comportare per la sicurezza pubblica, la tutela dell’ordine pubblico o la protezione dei diritti e delle libertà altrui» (art. 6, comma 4).

Tuttavia, il Dipartimento ha ritenuto che la domanda fosse irricevibile, in quanto il regolamento di attuazione della legge prevede che «solo le organizzazioni religiose autorizzate ad avere rapporti con lo Stato» possono presentare tali domande. Il Dipartimento ha quindi rifiutato di rilasciare un’autorizzazione per l’evento e ha vietato «qualsiasi riunione costituita a tale scopo».

Il 28 giugno 2022, la Chiesa evangelica di Cologny ha presentato un ricorso contro questa decisione presso la sezione amministrativa della Corte di giustizia. Il ricorso è stato respinto il 20 dicembre 2022, «in quanto il richiedente si è rifiutato di firmare e di impegnarsi a rispettare la dichiarazione di impegno», prevista dal regolamento di attuazione della Lle (art. 4) che «stabilisce i requisiti per il rispetto dei diritti fondamentali e dell’ordinamento giuridico svizzero da parte delle organizzazioni religiose che desiderano mantenere una relazione con lo Stato». Tra questi, il dovere di rispettare la pace religiosa e di accettare la diversità degli approcci religiosi, di riconoscere il diritto di abbandonare un sistema di credenze, di rifiutare ogni discriminazione (in base all’origine, al genere, all’orientamento sessuale) e di accettare il primato dell’ordinamento giuridico svizzero.

Foto di Schnäggli (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Lac_Léman_entre_Glion_et_Caux.JPG)

Il pastore Jean-René Moret, responsabile della Chiesa evangelica di Cologny, ammette che la sua chiesa non ha voluto intraprendere tali passi per la registrazione. «La nostra famiglia di chiese è molto legata alla separazione tra Chiesa e Stato, e lo è dal 1817, quasi un secolo prima della separazione ufficiale avvenuta a Ginevra nel 1907», afferma. «In effetti, abbiamo serie riserve su questa richiesta di riconoscimento, che pone lo Stato in una situazione in cui spetta a lui decidere chi ha il diritto di far valere il proprio diritto alla libertà religiosa». Il pastore parla dunque di una «decisione discrezionale: il regolamento di attuazione specifica che non c’è alcun diritto a questo riconoscimento e che una comunità a cui viene rifiutata la registrazione non può fare ricorso», aggiunge.

La Rete evangelica ginevrina (Reg), da parte sua, sta valutando di compiere questo passo come gruppo, afferma Stéphane Klopfenstein, vicedirettore della Rete evangelica svizzera (Res). «Forse se il processo di riconoscimento andasse avanti, darebbe alle chiese della Reg uno status diverso e questo sarebbe sufficiente a garantire che i battesimi siano accettati senza problemi in futuro», afferma. Ma non è ancora certo, quindi è importante tenere conto dell’opinione delle chiese membri del Reg».

Il pastore Moret, tuttavia, è chiaro sulla questione: «L’esercizio della libertà religiosa non deve essere soggetto a questo processo». Spiega ancora una volta: «Si tratta di un’ingerenza dello Stato in un ambito che non gli è proprio. In questo modo, lo Stato pone delle condizioni alla libertà religiosa e tiene una lista di organizzazioni religiose che considera accettabili o meno».
La Chiesa evangelica di Cologny ha quindi deciso di rivolgersi al Tribunale federale e il 6 febbraio ha presentato ricorso. «L’obiettivo di questo ricorso è quello di rendere sproporzionata e contraria alla libertà religiosa la condizione di autorizzazione legata a questo riconoscimento da parte dello Stato», sottolinea Stéphane Klopfenstein. Le sue possibilità di successo sembrano essere buone. Ad esempio, questo organismo aveva già contestato la formulazione del concetto di «eccezionalmente» presente nell’articolo 6 della Legge di Ginevra relativo alle manifestazioni, in una sentenza del dicembre 2021.

Inoltre, nella decisione della Camera amministrativa della Corte di giustizia di Ginevra, uno dei giudici ha dichiarato di non poter accettare l’opinione della maggioranza, giudicando «incostituzionale» l’obbligo di registrazione. Nel suo parere separato, contenuto nella sentenza del 20 dicembre 2022, ha ricordato che «il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa raccomanda che la registrazione di un’entità religiosa non sia obbligatoria, nel senso che avere lo status di entità religiosa registrata non dovrebbe essere un prerequisito per esercitare la propria religione». E ha aggiunto: «Non è richiesta la registrazione preventiva per nessun gruppo di cittadini, sia che esso persegua fini politici, sindacali, filosofici o di altro tipo. Solo le comunità religiose sarebbero quindi soggette alla registrazione preventiva, una discriminazione difficile da comprendere, che implicherebbe che tali comunità e associazioni siano intrinsecamente più pericolose o meno affidabili di qualsiasi gruppo di cittadini».

Sebbene la Camera amministrativa della Corte di giustizia di Ginevra abbia motivato la sua decisione con «il rifiuto dei ricorrenti di firmare la dichiarazione volta a rispettare i diritti fondamentali», le 40 pagine della sentenza rivelano comunque una posizione a dir poco critica nei confronti dell’espressione religiosa. Così, secondo il Dipartimento, «la pratica di una religione può essere limitata dalla protezione dei diritti e delle libertà altrui». A suo avviso, «l’ateo e il credente in un’altra religione hanno il diritto di non veder violata inutilmente la privacy della propria fede o convinzione».

Difende poi il sistema di autorizzazione istituito dall’articolo 6 della Legge cantonale con «la scelta politica di preservare la pace religiosa proteggendo la sensibilità religiosa che unisce il credente e la sua religione e la sensibilità filosofica che unisce l’ateo e il suo credo». E afferma: «È legittimo che il legislatore cantonale riconosca il diritto degli individui a non essere esposti, senza necessità, a una pratica religiosa con la quale non hanno chiesto di essere confrontati». Una proposta di «laicità attiva», difesa da una «politica proattiva», secondo le parole dello stesso Dipartimento.