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L’antisemitismo ritorna? No, non se n’è mai andato

La sorpresa con cui il mondo dell’informazione accoglie ogni nuovo sbuffo di espressioni antisemite nell’Italia contemporanea non cesserà mai di stupirmi. La settimana scorsa altri due episodi, in verità prevedibili e non molto significativi: una scritta su un muro di Ferrara che indica come “ebreo” un negozio, facendo il verso ai ben noti cartelli che dopo il 1938 si videro affissi per opera di alcuni esercenti particolarmente rispettosi della legislazione antisemita decretata dal regime fascista. E a Viterbo una scritta in cui si augura neppure troppo velatamente alla neosegretaria del Pd Elly Schlein di fare la stessa fine riservata dal nazismo a milioni di ebrei in Europa.
Titoloni sulla stampa e online, interviste radiofoniche e televisive, allarme generalizzato sul “ritorno” dell’antisemitismo in Italia. Mi spiace dover puntualizzare ancora una volta che purtroppo l’antisemitismo in Italia (e nel resto del mondo) non ha alcuna necessità di ritornare: non se n’è mai andato. Da decenni ormai i continui sondaggi quantitativi segnalano la presenza di una percentuale di cittadini che varia fra il 10 e il 12% che sono considerati “antisemiti puri”. In termine tecnico significa che costoro non si limitano a esprimere una generica antipatia verso tutto ciò che ha a che vedere con il mondo ebraico, ma sono invece attivi e aggressivi. Parliamo di milioni di persone, uno su dieci.

Un’altra percentuale variabile, assai più ampia, si esprime in maniera negativa solo se sollecitata in ambiti specifici: ostilità religiosa, oppure solo generico razzismo, o ancora applicazione di linguaggi antisemiti nel trattare del conflitto israelo-palestinese. La relazione annuale 2022 appena pubblicata dall’Osservatorio antisemitismo della Fondazione Cdec segnala dati in lieve crescita, collegati in maniera strutturale alla crisi sociale, economica e politica che si sta vivendo in Italia in questi anni. La crisi sanitaria pandemica – che ha compreso limitazioni alle libertà personali – il disagio sociale determinato dalla crisi economica, l’emergenza ambientale e infine l’esplodere della guerra in Ucraina hanno fortemente accresciuto il senso di paura e insicurezza nella nostra società. In questo contesto le retoriche cospirazioniste e la ricerca continua di capri espiatori si sono fortemente accresciute, facilitate dalle piattaforme social che amplificano in maniera considerevole la circolazione di idee e linguaggi. Si tratta di elementi che sono tutti da secoli strutturali del linguaggio antisemita, per cui non si riesce proprio a capire dove mai potrebbe risiedere il concetto di sorpresa.

Facciamocene una ragione: l’Italia è un paese in cui l’antisemitismo è una presenza costante. Lo vediamo nell’uso continuo del termine “ebreo” (o anche “rabbino” o altro ancora) in termini dispregiativi e negativi. Allo stadio ogni domenica le curve della Lazio o dell’Inter o della Juventus o del Verona echeggiano di slogan antisemiti urlati da centinaia di persone senza che nessuno muova un dito. L’accusa ai cosiddetti “poteri forti” di determinare in maniera antidemocratica e segreta le sorti politiche della nazione sono sempre associate all’operato di finanzieri ebrei (Soros, Rothschild ecc.). Gli ebrei finiscono così col diventare i “nemici”, gli “estranei” per eccellenza. E poco importa se si fa notare che gli ebrei in Italia non sono per nulla estranei, ma sono una presenza costante e costitutiva della civiltà di questo Paese da oltre due millenni. La distanza fra la realtà storica e la narrazione retorica dell’antisemitismo rimane abissale, e il linguaggio politico che ne deriva diviene un vero e proprio pericolo per la democrazia.

Si può fare qualcosa per evitare questa deriva? Certamente, si fa già molto e tanto resta da fare. L’Italia si è dotata di una Strategia nazionale di lotta all’antisemitismo nominando un coordinatore nazionale e attivando una serie di percorsi virtuosi, a partire dall’intervento nell’educazione. Sono state scritte e vengono diffuse in maniera capillare delle Linee guida di contrasto all’antisemitismo nella scuola, sono attivi numerosi progetti europei che studiano i modi di intervenire nella formazione di diverse categorie (forze dell’ordine, giornalisti, magistrati, insegnanti), si stringono accordi per individuare strumenti giuridici capaci di contrastare il fenomeno. Si insiste molto, inoltre, sullo sviluppo di una conoscenza diretta e ampia della civiltà ebraica: conoscere gli ebrei in carne e ossa, le loro usanze e tradizioni, sembra essere uno degli strumenti più efficaci per contrastare in maniera continua nel tempo la diffusione di retoriche antisemite che presentano un’immagine distorta e falsa della realtà ebraica.

Personalmente non nutro molte speranze su un futuro esaurirsi del fenomeno. L’antisemitismo si è rivelato una componente fondamentale dei linguaggi politici moderni (lo abbiamo visto recentemente in Ucraina o nell’assalto a Capitol Hill a Washington, nel passato i fascismi e anche il comunismo ne hanno fatto ampiamente uso) e l’azione di contrasto diventerà probabilmente un’attività necessaria e continua nel tempo. Molto credo si possa fare in particolare lavorando nell’ambito del dialogo interreligioso, consci che proprio una lotta agli estremismi presenti in ogni confessione può rivelarsi uno strumento particolarmente efficace e di lunga durata. Contrapporre l’incontro allo scontro dovrà essere in futuro la scelta necessaria, che si rivelerà un buon antidoto alla diffusione dei linguaggi d’odio.