istock-1318220601

Libertà su due ruote

Il numero di aprile del mensile free press L’eco delle valli valdesi ospita questa storia di solidarietà e speranza, buona lettura.

Nel nostro presente la bicicletta è uno dei simboli più rappresentativi dell’ambientalismo, oltre a essere legata a grandi storie sportive che forse più di ogni altra disciplina caratterizzano la nostra cultura. La storia di Zarifa, Zamarod e Sima ci mostra però un altro significato: quello della libertà. Sono tre ragazze giunte in Italia nell’estate dell’anno scorso dall’Afghanistan, insieme a un altro ragazzo, Ijaz. Dall’autunno, attraverso il sistema di accoglienza della Diaconia valdese<(strong>, sono approdati a San Germano Chisone dove oggi possono sognare un futuro diverso dagli anni drammatici vissuti in patria.

Il loro destino è stato positivamente segnato dall’incontro con la giornalista Francesca Monzone che nel 2015, con l’intento di raccontare la realtà delle cicliste dell’area mediorientale, del tutto assenti dal panorama agonistico internazionale, entra in contatto con un gruppo di cicliste afghane legate alla Federazione nazionale. Non è certo una novità legata alla presa di potere dei Talebani la difficoltà per le donne di praticare uno sport come il ciclismo: certe credenze sono infatti radicate nella cultura di buona parte della popolazione e una donna in bicicletta è considerata una donna impura, ossia poco più di niente.

E così Monzone si attiva per creare un primo ponte, per riuscire a portare in Italia un gruppo di atlete, ma la storia si mette di mezzo: prima il Covid e poi l’avvento dei Talebani, che rendono drammatica una situazione già in partenza difficile, aumentano sensibilmente le difficoltà del progetto. Diventa allora fondamentale l’aiuto di Sylvan Adams, amministratore delegato della Premier Tech, team ciclistico israeliano socialmente impegnato e assai attivo nel periodo del Covid. Grazie all’aiuto economico (e non solo) del team viene messa in piedi un’operazione di fuga degna dei più fantasiosi racconti di spionaggio che riesce a portare fuori dall’Afghanistan quasi 150 ragazze. In un secondo momento, Francesca Monzone cerca anche altre vie e, attraverso un rappresentante dell’Onu, viene a conoscenza di un protocollo per l’istituzione di un corridoio umanitario che vede in prima fila la Chiesa valdese. Attraverso questo strumento si riesce quindi a portare in Italia, dopo un percorso rischioso, lungo e costoso, un gruppo di circa 70 giovani.

Il gruppo approda inizialmente a L’Aquila, grazie alla disponibilità della comunità locale e delle sue istituzioni, che sanno che cosa significhi l’emergenza e, di conseguenza, ha prima di tutto una buona disponibilità di alloggi. Siamo nel luglio del 2022. Successivamente la Diaconia valdese, che gestisce l’accoglienza, distribuisce i profughi sul territorio nazionale e per quattro di loro la destinazione è appunto San Germano Chisone, dove tuttora sono accolti. In attesa dei passaporti, che tra le altre cose permetterà loro di essere tesserate e proseguire anche la carriera agonistica, Francesca Monzone è riuscita a coinvolgerle in alcuni appuntamenti, tra cui il campionato di ciclismo femminile afghano, organizzato in Svizzera.

Il loro ambientamento sembra procedere nel migliore dei modi: gli operatori della Diaconia valdese ci parlano di ragazze assai intraprendenti e desiderose di dimostrare di meritare l’opportunità che è stata loro offerta (anche se, detto per inciso, non devono meritarsi nulla). Ci viene raccontato che il loro sogno sarebbe quello di poter tornare a casa, in un paese libero dove poter esprimere sé stesse, ma più realisticamente al momento il loro progetto di vita è legato all’Italia di cui stanno rapidamente imparando la lingua e partecipando con entusiasmo alle attività loro proposte.