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La targa per il pastore Panascia a Palermo

A Palermo c’è stato un tempo – erano gli anni Sessanta dello scorso secolo – in cui le cose e le persone non erano chiamate con il loro vero nome. La mafia era una variante della “criminalità comune”, la giustizia e i diritti erano “favori” magnanimamente accordati e amministrati dagli “amici”, Danilo Dolci (molto attivo in Sicilia in quegli anni), in buona compagnia di alcuni intellettuali (meglio identificati come congiurati), era un “responsabile della cattiva fama” della Sicilia, chi diffondeva emancipazione culturale, consapevolezza e riscatto dalle più crude forme di arretratezza coltivava azioni rinominate “di pseudo apostolato” senza “incidere minimamente sulla realtà” emarginata e offesa.

Nella Città del 2023 tale tempo sembra lontano, sbiadito e in buona parte corretto da una nuova sensibilità, lentamente e progressivamente maturata grazie al sangue e all’impegno di centinaia di uomini e donne di buona volontà, se non veri eroi e vittime il cui sacrificio non sarà mai completamente riconosciuto. E tuttavia il ricordo e l’eredità di chi iniziò, in anni difficili e tra mille avversità, a chiamare le cose, i fatti e le persone con il loro vero nome, contribuendo, con altri, ad avviare un percorso di riscatto lungo, doloroso e orientato verso la dignità del vivere sociale, nella rinunzia a ogni compromesso e accomodamento, e senza ambigue forme di proselitismo, riaffiora e si fa vivo quando si incarna nel tempo quotidiano, come lascito oggettivo e tangibile.

L’apposizione, lo scorso 28 aprile, della targa in ricordo del pastore Pietro Valdo Panascia, al Centro diaconale «La Noce» di Palermo, interpreta esattamente questo desiderio di rievocazione e di riproposizione di un esempio di vita all’insegna del concreto impegno.

Nelle parole di tutti gli intervenuti alla cerimonia di svelamento, fra cui la moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta, la direttrice del Centro diaconale Anna Ponente, l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, i numerosi operatori e collaboratori del Centro, è stato tratteggiato con emozione, in presenza del figlio del pastore, Giovanni Panascia, il profilo del fondatore, soprattutto in relazione alla funzione dell’Istituzione.

Ancora oggi, infatti, a distanza di oltre sessant’anni dalla sua fondazione, l’azione del Centro con gli effetti nel territorio in cui insiste, i servizi offerti, i modelli di organizzazione proposti, l’articolazione delle azioni propagate, costituiscono un prototipo indicativo ed esemplare di risposta alle richieste di intervento nei confronti di soggetti a rischio, svantaggiati ed emarginati. Segno questo, fra tanti, di sostanziale e limpido contributo verso l’equità sociale e la solidarietà rivolta a chiunque necessiti di accoglienza e supporto.

La cifra dell’agire di Panascia si materializza ancor oggi nel ruolo istituzionale del Centro diaconale, dove la crescita di ciascun individuo, sostenuta anche nel superamento delle difficoltà, prescindendo da ogni discriminazione rispetto alle provenienze culturali, religiose, etniche e sociali, è favorita da percorsi di conquista della autonomia, del consolidamento della personalità e dalla armonizzazione delle capacità di relazione e integrazione.

Il percorso che a Palermo indicò Panascia fin dalla metà del secolo scorso, di contrapposizione a quella che individuò, senza infingimenti, come mafia, arretratezza, subordinazione a poteri ambigui e collusi, resta ancor oggi ancorato alla sua creatura istituzionale che, oltre ogni ideologia o fede, permane come fermo riferimento per un agire umanamente ispirato verso i più alti valori di civiltà e di fede cristiana.

Il manifesto del 1963

Il 7 luglio 1963, in seguito alle stragi di Ciaculli e Villabate, in cui persero la vita nove uomini, Pietro Valdo Panascìa, pastore della comunità valdese di Palermo, nei mesi tragici caratterizzati da drammatici attentati mafiosi fra il 1963 e il 1964, tappezzò i muri della città di manifesti titolati “Iniziativa per il rispetto della vita umana”, in cui denunciava l’efferata violenza della mafia e faceva appello a «quanti hanno la responsabilità civile e religiosa» affinché promuovessero il rispetto «della Legge di Dio che ordina di non uccidere». Un appello che colpì anche l’allora papa Paolo VI che volle esortare il cardinale di Palermo Ernesto Ruffini ad assumere qualche posizione pubblica di fronte a tanta violenza. Ma il cardinale non capì o non volle capire.

Pietro Valdo Panascìa a Palermo

Pietro Valdo Panascia fu pastore della chiesa valdese di Palermo tra il 1956 e il 1970. In quegli anni si dedicò a molte iniziative nella periferia degradata della città, impegnandosi principalmente a sostegno dei minori. Curò la scuola elementare, sita nei locali della stessa chiesa in via Spezio, nella convinzione che l’istruzione e la cultura avrebbero dato dignità e speranza ai poveri e agli emarginati. Con lo stesso entusiasmo, poi, fondò il Centro diaconale nel quartiere Noce, borgata «ad alta densità mafiosa», per offrire ai più piccoli la possibilità di riscatto da una cultura intrisa di mafia. Il Centro diaconale continua ancora oggi la sua opera sociale a favore dei soggetti più vulnerabili della città, facendo tesoro della testimonianza umana e di fede di Panascia.