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Turchia, anni duri per le minoranze

In Turchia si sono concluse le elezioni presidenziali e politiche per scegliere la formazione parlamentare della ventottesima legislatura e il dodicesimo presidente della Repubblica. Recep Tayyip Erdogan ha vinto le presidenziali, ma per la prima volta della sua carriera ha dovuto andare al secondo turno, sconfiggendo con il 52% il suo avversario Kemal Kiliçdaroglu (48%).

In realtà si tratta di una sconfitta politica per l’attuale presidente della Repubblica e per il suo partito Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), tenendo in considerazione che dal monopolio dei media fino al controllo totale della Magistratura avevano a disposizione una serie di vantaggi straordinari. In questa campagna elettorale Erdogan non ha esitato un attimo a usare un linguaggio sessista, omotransfobico, e informazioni tendenziose contro Kiliçdaroglu. Il Presidente uscente era ovunque; dai manifesti ai canali televisivi, dalle piazze ai social. Una campagna elettorale in cui abbiamo assistito anche a una serie di attentati e arresti commessi contro i vari partiti politici. Nonostante tutto, Erdogan ha ottenuto un risultato decisamente peggiore rispetto alle elezioni del 2018.

Il partito, guidato da Erdogan dal 2001, ha perso circa il 7% (due milioni di voti) e in totale 27 seggi, rispetto alle elezioni del 2018. Si tratta di un calo che era stato già registrato nell’ultima tornata elettorale in cui l’Akp aveva perso di nuovo il 7% dei voti rispetto alle elezioni del 2015, avvenute in un’atmosfera di quasi guerra civile.

Erdogan in realtà cerca di compensare questa perdita da circa sei anni, con una serie di soluzioni. Senz’altro aver governato la Turchia per due anni, dal 2016 al 2018, con una serie di misure straordinarie durante lo stato d’emergenza è stato lo strumento più antidemocratico che potesse utilizzare. Il referendum costituzionale del 2017, in pieno stato d’emergenza, e l’appoggio esterno, poi interno, del Partito del Movimento nazionalista (Mhp) sono altre soluzioni che ha provato Erdogan. Anche in questa tornata elettorale il Presidente ha cercato delle soluzioni. Due formazioni politiche fondamentaliste e omotransfobiche, HudaPar e Yeniden Refah, hanno sostenuto la coalizione del Governo. Il secondo ha portato a casa più di un milione e mezzo di voti e cinque parlamentari. HudaPar invece ha deciso di gareggiare con la sigla dell’Akp e ha portato in parlamento quattro deputati. Così è nato il governo più di destra della storia della Repubblica di Turchia.

Quindi nei prossimi cinque anni la Turchia avrà un governo la cui agenda contiene proposte e piani mirati a colpire la visibilità e i diritti di alcune parti della società. In cima alla lista ovviamente ci sono le persone lgbtqi+. Per loro purtroppo non si tratta di una novità. Non dimentichiamo il Pride di Istanbul, vietato da circa otto anni, le manganellate, i lacrimogeni e le munizioni di gomma che non sono state risparmiate in questi anni. Non possiamo non citare il divieto di ogni tipo di attività del mondo dell’associazionismo lgbtqi+ per ben due anni nella capitale del Paese durante lo stato d’emergenza. Nei prossimi cinque anni nella maggioranza avremo i partito Yeniden Refah che promette l’introduzione del reato dell’omosessualità con HudaPar. Entrambi questi partiti non vedono l’ora di riscrivere nella Costituzione la definizione della famiglia “tradizionale”; «composta da una madre e un padre».

In seconda posizione ovviamente ci sono le donne. Già con il divieto alle manifestazioni dell’8 marzo, gli indulti che hanno visto in libertà gli autori di vari femminicidi e nel 2021, con l’uscita dalla Convenzione d’Istanbul, il governo aveva lanciato un importante messaggio in merito alla sua posizione ideologica. Oggi ci troviamo con il partito Yeniden Refah che vorrebbe modificare la legge 6284 (relativa alla violenza domestica e violenza contro le donne), per «preservare l’unità della famiglia e proteggere l’immagine dell’uomo». Quindi quell’unica legge che esiste per difendere le donne, molto probabilmente, sarà minacciata dalle politiche del nuovo governo.

Insieme alle donne ci saranno anche le ragazze nel mirino del nuovo governo. Attraverso le dichiarazioni degli imam, i leader delle comunità religiose che sostengono il governo, il Direttorato degli Affari Religiosi, alcuni professori universitari e parlamentari, il governo ha sempre provato a mettere in discussione le leggi che proteggono le ragazze dai matrimoni precoci i quali spesso generano casi di pedofilia. In quest’ottica sono da prendere in considerazione le parole del leader del HudaPar, uno dei nuovi membri della maggioranza, Zekeriya Yapıcıoğlu: «Minorenni secondo chi? Se i genitori approvano le ragazze possono essere maritate».

Sono in arrivo cinque anni difficili per la maggior parte della società sia per una serie di motivi sociali sia per via della profonda crisi economica in corso. Nel mentre l’Europa si riempie di richiedenti asilo e studenti e intellettuali provenienti dalla Turchia e alla ricerca di una nuova vita.


Foto di Unaoc