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Albania tra monopoli mediatici e minacce

Il terremoto che a fine novembre scosse l’Albania, oltre alla tragedia contingente, aveva fatto emergere notizie allarmanti anche in materia di libertà d’espressione e d’informazione. Nei tragici giorni in cui si registravano 40 morti e 200 feriti e si temeva che potesse esplodere un impianto petrolchimico era emersa anche la notizia preoccupante (in tema di libertà d’espressione) di un arresto. Una giovane, aveva postato sulla propria pagina facebook le sue preoccupazioni in seguito alle scosse appena avvertite, trovandosi a vivere vicino all’impianto, e per questo post è stata fermata. Procurato allarme è ststa la motivazione del fermo della polizia locale. Il Governo arrestandola ha di fatto smentito che potessero esserci problemi di sicurezza nell’area e dove erano presenti numerosi depositi di petrolio e di gas. 

Una notizia fatta emergere lo scorso 28 novembre dal giornalista Paolo Viana del quotidiano Avvenire e che evidenzia quanto vi sia un ferreo controllo dell’informazione, con conseguenti atti coercitivi, da parte delle autorità albanesi. 

Un recente Rapporto redatto dal Media Ownership Monitor, insieme al Balkan Investigtive Reporting Network (Birn) informa infatti che in Albania 2 proprietari controllano il 71.7% del mercato mediatico, mentre i 4 principali proprietari arrivano a controllarne il 93%: «Quattro famiglie legate al governo attraverso contratti di varia natura, mentre 3 di loro hanno società edili di grandi dimensioni, ottengono contratti pubblici e permessi di costruzione da parte dello stato», si legge.

É dunque evidente che, in quadro di monopolio mediatico di questa portata, possa essere presente nel Paese una situazione pericolosa per la libertà di stampa. 

Un’ipotesi confermatadal presidente del Consiglio Albanese per i media, Coloreto Cukali, che ha pubblicato un saggio sul sito dedicato alla libertà d’espressione, Articolo 21.

«Da almeno sette anni – afferma Cukali – la stampa albanese non ha la possibilità di seguire gli eventi cui partecipa il Premier, il Sindaco di Tirana e i loro partiti. L’informazione relativa alle loro attività è predisposta dagli uffici del Governo e del Comune attraverso filmati e servizi effettuati da troupe di professionisti, regolarmente impiegati presso le istituzioni summenzionate. Sono le stesse notizie che circolano anche sulla stampa online: foto, cifre, informazioni mai verificate, che hanno sempre la stessa e unica fonte: il Governo o il Comune di Tirana, appunto». 

Oltre al controllo spesso arrivano ai giornalisti non allineati minacce e intimidazioni. Le stesse che hanno raggiunto l’Italia, in particolar modo il giornalista del TG3 e presidente dell’Associazione Carta di Roma, Valerio Cataldi

«Le minacce ricevute – dice Cataldi a Riforma.it – sono note e toccano, purtroppo, tutti i giornalisti che in qualche modo cercano di illuminare temi nascosti e di smascherare il malaffare, in particolar modo quando questo collima con la politica. L’inchiesta, che ha fatto scatenare sui social network le minacce indirizzate alla mia persona, era relativa al narcotraffico. Una serie televisiva andata in onda su Rai3, “Narcotica”. Un’indagine che seguiva le rotte dei trafficanti tra Colombia-Messico-Albania e Calabria, per far vedere il volto del narcotraffico. Nell’inchiesta emergevano esponenti politici albanesi invischiati con il narcotraffico. Da allora le intimidazioni non si sono fatte attendere. Funzionano così, all’inizio si è tacciati anche dai politici stessi, di essere giornalisti faziosi e di aver prodotto di notizie false – fake news -. Questa prima fase ne innesca una seconda, un meccanismo ancora più perverso che coinvolge personaggi più o meno reali, e che dall’insulto reiterato passano poi a vere e proprie minacce di morte. Tante, talmente tante, che si è costretti a denunciare il fatto alle autorità competenti».

A prendere le immediate difese del giornalista Cataldi tanti colleghi, anche della stampa evangelica e di Riforma.it.

Tra le prime, le organizzazioni sindacali: «Chiediamo alle autorità di porre la massima attenzione su questi fatti – hanno dichiarato congiuntamente il sindacato dei giornalisti Rai – l’UsigRai e la Federazione Nazionale della Stampa -. E a tutte le testate di rilanciare le inchieste, affinché Cataldi non resti isolato. Da parte nostra – proseguono – un grazie all’inviato della Rai, al Tg3 e a Rai3, per aver aperto illuminato in questo modo anche le minacce subite costantemente i giornalisti albanesi e la situazione della libertà di stampa in Albania». 

L’unico spazio libero all’informazione in Albania, in una situazione di monopolio mediatico, è quello online, settore che negli ultimi 5 anni ha vissuto un autentico boom, con la nascita di oltre 600 siti di informazione.

Una libertà che però, «Rischia di soccombere – ricorda ancora Cukali – in seguito alla presentazione di un pacchetto legislativo sui media da parte del Premier albanese Rama, che parte dalla premessa della lotta alle fake news, ma il cui obiettivo sembra essere quello di controllare l’informazione in rete. Attraverso la legge in questione il Premier propone di affidare a un’istituzione che fa capo alla maggioranza il compito di monitorare l’etica dei media, di verificare le notizie false e di imporre sanzioni fino a un massimo di 8 mila euro per ogni reclamo degli utenti. Ma la capacità e l’imparzialità di tale istituzione di monitorare l’etica e la veridicità dell’informazione è quantomeno discutibile».

Figuriamoci, allora, se le inchieste, come quella di Cataldi, toccano direttamente la politica. Potrebbe esserci il rischio che si possa andare oltre alle richieste esose di denaro previste nella proposta di legge albanese, o di quelle che sino ad ora erano definite querele temerarie, ossia spauracchi e tentativi di prevenire le possibili inchieste attraverso la minaccia di risarcimenti danni di immagine da parte di avvocati agguerriti.

«La nostra inchiesta toccava una vicenda particolare – dice ancora Cataldi – quella dell’ex ministro dell’Interno albanese che aveva un cugino narcotrafficante e che viaggiava spesso con un’auto intestata proprio al ministro. Una vicenda che non siamo stati i primi a far emergere, ma che ha in qualche modo scatenò allora la reazione dell’attuale premier albanese scomposta. Ora che siamo tornati in Albania per fare un’inchiesta sulla proposta di “legge bavaglio” che il governo sta preparando per controllare il web, stanno arrivando nuove minacce e ancora più intense di quelle che regolarmente ricevo. Permettetemi di dire – conclude Cataldi – che ciò che sto vivendo ora, per i colleghi giornalisti albanesi è una prassi. Chi non si adegua alle linee politiche è osteggiato e vessato. Tra l’altro quella albanese è una delle mafie più feroci e più potenti che esista. Io subisco una piccola porzione di ciò che i miei colleghi albanesi subiscono. La Federazione nazionale della stampa italiana schierandosi apertamente contro la “legge bavaglio” albanese ha voluto recentemente incontrare una delegazione di giornalisti albanesi, proprio per affermare la vicinanza e l’appoggio contro il clima d’intimidazione e di minaccia che cerca di fermare e assoggettare il lavoro giornalistico. Una vicinanza tra giornalisti importante, anche politicamente».