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BaoBab, il giorno del giudizio. Ong ancora nel mirino

L’incubo kafkiano inizia nel 2016, l’anno in cui cambia la narrazione del fenomeno migratorio. Le organizzazioni non governative che soccorrono disperati in mare e in terra, da angeli diventano diavoli: colpa loro se decine di migliaia di persone lasciano case e affetti, attraversano deserti, subiscono ogni sorta di violenza, si imbarcano su bagnarole su cui noi non faremmo nemmeno un giro sulla terraferma. Da lì a pochi mesi vedrà la luce l’orrore del memorandum italo-libico sulla gestione dei flussi e il leader del maggiore partito allora di opposizione definirà le organizzazioni umanitarie taxi del mare. Scattano indagini e processi contro gli attivisti, il sequestro delle navi con motivazione pressoché sempre pretestuose, gli arresti di disperati che hanno tentato di guidare il gommone verso riva che di colpo vengono accusati di essere loro i trafficanti.

Un corto circuito anche comunicativo i cui danni dureranno ancora molto, troppo tempo e che da un punto di vista giudiziario si sono concluse con un enorme buco nell’acqua. Nel silenzio quasi totale dei grandi media.

È di quella stagione l’inchiesta della squadra mobile di Roma, che per mesi intercetta le conversazioni dei volontari del BaoBab Experience, il centro di fronte al cimitero del Verano che diventa un punto di riferimento per le persone migranti che transitano per Roma: lo sgombero del BaoBab, l’ennesimo, da parte delle forze dell’ordine del settembre 2016, per questioni di ordine pubblico, senza che le autorità siano state mai in grado di fornire alcuna valida alternativa per offrire un rifugio, avviene dunque in un momento di tensione. Circa 300 persone si ritrovano senza un tetto seppur di fortuna, e le azioni dei volontari per fornire assistenza sono febbrili.

Andrea Costa, presidente di BaoBab Experience, insieme a due volontari, al telefono parla di 9 giovani che hanno espresso il desiderio di raggiungere il campo della Croce Rossa a Ventimiglia.

Sono otto sudanesi e un abitante del Ciad. In Sudan è in corso un conflitto lacerante in cui a pagare il prezzo maggiore è come sempre la popolazione civile. In Ciad a farla da padrone è l’estremismo violento di gruppi armati che impuniti mettono a ferro e fuoco il Paese.

In fuga da tutto questo subiscono anche l’umiliazione dello sgombero nella civile Italia. In quella circostanza dunque, come in migliaia di circostanze simili, i volontari e le volontarie offrono il loro supporto. Aiutano i giovani a identificare un mezzo di trasporto verso un luogo che ovviamente non conoscono e contribuiscono all’acquisto dei titoli di viaggio, oltre a fornire un kit igienico essenziale per affrontare l’ennesimo spostamento. Raccolgono 250 euro con una colletta, per pagare l’autobus e permettere il viaggio a Ventimiglia degli otto, accompagnati da una volontaria.

Per questa condotta, Andrea Costa è equiparato dall’accusa ai tanti trafficanti che agiscono impunemente nelle Stazioni italiane e che quel biglietto se lo fanno pagare caro, anche con la vita, che vendono documentazione falsa al prezzo di una illusione e speculano sulla fragilità di persone abbandonate a loro stesse. 

Ecco oggi 3 maggio è attesa la sentenza di primo grado contro Andrea Costa e i due volontari: rischiano dai 6 ai 18 anni di carcere. La loro condotta avrebbe agevolato la volontà degli otto di recarsi in maniera illegale in Francia. Finale che nemmeno avviene perché i ragazzi vengono intercettati dalla polizia e rispediti all’ hotspot di Taranto.

In sette anni Baobab ha assistito 95mila persone. Intanto l’Italia e l’Unione Europea sono accusate di respingimenti per procura alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

La direttiva 2002/90/CE del Consiglio – nota come “Facilitation Directive”, fornisce una definizione comune del concetto di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e stabilisce che gli Stati membri possono introdurre una clausola umanitaria, che mette gli operatori e i volontari che prestano assistenza umanitaria al riparo dal rischio di finire sotto processo. In Francia numerose sentenze di questi anni hanno portato di fatto all’abolizione del cosiddetto “delitto di solidarietà” (si veda il caso di Cédric Herrou): l’Italia non ha ancora recepito tale direttiva europea per cui nel nostro ordinamento non si fa differenza fra trafficanti di esseri umani e solidali. 

L’accanimento contro il nemico sbagliato per nascondere le proprie mancanze, una specialità molto italiana. 

La sentenza di oggi rischia di essere un punto di non ritorno.