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Bioetica: oltre il bipolarismo

Il 6 e il 7 novembre Strasburgo ospiterà un importante incontro promosso dalla Conferenza delle Chiese europee (Kek) sul tema della bioetica, con partecipazione di teologi, filosofi, esperti per un momento di scambio su numerosi temi, dalle questioni riguardanti il corpo (trapianto e donazione degli organi, chirurgia plastica, maternità surrogata) al rispetto per la vita e i suoi inizi (aborto terapeutico, procreazione medicalmente assistita, screening prenatale) e la riflessione sul fine vita (cure palliative ed eutanasia).

All’incontro sarà presente il prof. Luca Savarino, filosofo, coordinatore della Commissione della Tavola valdese sui problemi etici posti dalla scienza. Con lui proviamo a interrogarci su alcuni aspetti chiave della riflessione delle chiese protestanti in materia di bioetica.

Qual è il contributo specifico che un esponente del protestantesimo italiano può portare in quel contesto? E in che misura tale apporto è condizionato dal dibattito di natura etica, che nel nostro Paese è tanto influenzato dalla Chiesa cattolica?

«In Italia, l’esistenza delle Chiese protestanti è storicamente importante nella misura in cui ha consentito, e tuttora consente, di ridisegnare i termini del dibattito pubblico in senso pluralista. E non è un caso che ciò sia avvenuto su questioni di bioetica. Fino a pochi anni fa, tali questioni sono state il terreno pressoché esclusivo sul quale in Italia la questione del pluralismo ha assunto rilevanza pubblica, sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista etico e politico: pensiamo alle grandi battaglie sulle questioni etiche legate all’avanzamento della medicina e al cambiamento dei costumi: aborto e divorzio, in un primo momento, in seguito fecondazione medicalmente assistita, oggi eutanasia. Tuttavia, in realtà, in un paese caratterizzato dalla presenza di un punto di vista ecclesiale e confessionale ampiamente maggioritario, quello cattolico romano, il pluralismo ha assunto le vesti di un bipolarismo di fatto, dando vita a un confronto aspro e spesso violento tra due visioni del mondo sostantive sia sul piano filosofico sia su quello etico-politico e persino parlamentare: da un lato i difensori cattolico romani della sacralità della vita, dall’altro i sostenitori laici dell’autonomia individuale. In entrambi i casi, il dibattito è monopolizzato da interlocutori che avanzano tesi chiaramente particolariste e difendono valori chiaramente sostantivi, a partire però da punti di vista che si pretendono universali. Solo negli ultimi anni, a seguito di profondi mutamenti nel costume e nella composizione della società italiana, la situazione sembra cambiata e si sono sviluppati i germi di un dibattito autenticamente pluralista. Un dibattito che le Chiese protestanti italiane hanno avuto il merito di saper avviare con grande anticipo».

Spesso, discutendo di bioetica, le chiese tendono a porsi come organi consultivi della società civile o della politica. Ma su questa materia non sono interpellati i credenti con la loro coscienza individuale?

«Più volte, nel corso di discussioni pubbliche, mi sono trovato in difficoltà di fronte alla richiesta dei miei interlocutori di spiegare se il mio fosse un punto di vista laico, vale a dire neutrale, o se io parlassi in veste di membro di una Chiesa. La difficoltà consiste nel fatto che una simile alternativa, dal mio punto di vista, è mal posta e concettualmente irrisolvibile. Storicamente, riguardo alle questioni etiche e politiche il protestantesimo riformato liberale assume un volto bifronte, e apparentemente un po’ complicato: se da un lato i credenti accettano di confrontarsi in termini secolari sulle questioni pubbliche, è vero che il riferimento alle comunità di fede e alla tradizione di provenienza non può venire totalmente a mancare. In questo senso, le mie riflessioni non possono e non vogliono prescindere dalla mia esperienza personale di fedele e di membro della Commissione di bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi, un organismo che – è bene ricordarlo – esiste da più di vent’anni, vale a dire da un’epoca in cui in Italia si iniziava a parlare solo in modo sporadico di questioni bioetiche. È altrettanto vero, tuttavia, che i teologi, i pastori e le commissioni bioetiche delle singole chiese non sono portatori di un punto di vista dogmatico: le loro riflessioni si pensano al servizio non solo della scelta autonoma e responsabile dei credenti ma anche della riflessione dei non credenti».

Le chiese protestanti, prive di un magistero ecclesiastico, riconoscono un’attenzione particolare alla libertà di scelta da parte dell’individuo. Ma libertà di decidere e autodeterminazione sono concetti equivalenti?

«Non sono concetti equivalenti se per libertà di scelta intendiamo la possibilità di esercitare in maniera arbitraria la propria libertà, al di fuori di qualsiasi condizionamento e responsabilità. L’autodeterminazione, al contrario, rinvia alla necessità di regolare la propria condotta in maniera autonoma, da un lato, ma all’interno di un sistema di vincoli, legami e relazioni che costituiscono la condizione di possibilità stessa della libertà. Si pensi per esempio alla complessità di una scelta come quella di abortire. A mio parere, il compito delle chiese cristiane è proprio quello di difendere il valore dell’autodeterminazione evitando tuttavia i pericoli connessi alla sua assolutizzazione. Da un lato occorre opporsi a coloro che ritengono che l’autodeterminazione sia sempre qualcosa di pericoloso perché connesso con l’arbitrio e tendono a volerla limitare in nome di principi assoluti, siano essi di natura biblica o derivati dal diritto naturale: mi riferisco sia al protestantesimo evangelicale, sia alla dottrina cattolica romana. Dall’altro, a coloro che pretendono di assolutizzare l’autodeterminazione individuale, fino a farne la pietra angolare dell’etica, occorre ricordare due cose. In primo luogo il fatto che l’autodeterminazione va concretamente realizzata e non può semplicemente essere presupposta. Pensiamo alla relazione medico-paziente: fattori di tipo culturale, emotivo, economico rappresentano talvolta degli ostacoli che vanno riconosciuti ed eliminati per realizzare un’autodeterminazione che sia effettiva, e, al tempo stesso, responsabile. In secondo luogo, che il principio di autonomia è uno solo, ma non l’unico, tra i principi che possono regolare il nostro agire morale. Il principio di giustizia, tanto per fare un esempio, non è meno importante quando si affrontano determinate questioni, per esempio quelle legate all’allocazione delle risorse sanitarie».

(Fonte www.chiesavaldese.org)