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Chiesa luterana: 30 anni di Intesa con lo Stato Italiano

Vi siete mai domandati il senso della parola “intesa”? Dal latino intentus, participio passato del verbo intendere. Ovvero andare insieme verso un obiettivo. Un patto.

Correva l’anno 1993, il 20 aprile di 30 anni fa, di venerdì, quando la Chiesa Evangelica Luterana in Italia e lo Stato Italiano firmarono un patto verso una legge che ne avrebbe regolato i rapporti.

La delegazione luterana da una parte, di cui facevano peraltro parte l’allora Presidente del Sinodo Hanna Brunow Franzoi e l’allora Vice Decano Jürg Kleemann; lo Stato Italiano dall’altra, rappresentato dal Presidente del Consiglio del tempo, Giuliano Amato. Una Chiesa, rappresentata da una donna, fatto in quel momento storico più unico che raro visto che le intese precedenti riportavano molte firme al maschile.

Sembrano trascorsi millenni e, in realtà, sono appena trent’anni da un atto che aprì le porte alla legge del 29 novembre 1995 n. 520. L’intesa, appunto, stabiliva un cammino, la legge avrebbe permesso a quel cammino di raggiungere un obiettivo: il rapporto di reciprocità, nei diritti e doveri, tra lo Stato e la Celi.

Una intesa che la Celi aveva già iniziato a preparare fin dal 1985 grazie al lavoro di donne e uomini, italiani e tedeschi, vissuto, come ricordava il Vice Decano Kleemann, «scartabellando fra i libri e scrivendo a macchina in lunghe nottate, con discussioni infinite, incontri e viaggi».

Una intesa che anticipava, inaspettatamente, temi oggi modernissimi. Come il sentimento di appartenenza all’Italia di giovani nati da genitori non italiani. Così racconta ancora Keemann: «Claudia, studentessa del 1° anno di Giurisprudenza, mi accompagnò, dato che era bilingue» […] anche «per redigere il verbale. Mi fornì la preziosa controprova: “Sono italiana, ho una madre danese, un padre italiano e sono stata confermata a Firenze come luterana”».

Uno sprone per il Concistoro di allora a prendere «maggiormente sul serio il nostro diritto di cittadinanza, ma anche i nostri doveri in Italia: nel far rispettare la nostra Chiesa come persona giuridica riconosciuta dallo Stato (dal 1962), nella riflessione mirata e nella promozione dei nostri compiti in questo paese (ad es. con l’Accademia delle Comunità, l’ecumene e il servizio stampa), e con una collaborazione più stretta con le altre confessioni protestanti in Italia».

«Per noi – concludeva Kleemann – era in gioco la nostra credibilità. Non si trattava solo di negoziare vantaggi finanziari, ma anche di dare il nostro contributo come Chiesa: per una costituzione democratica e laica a continuazione di una grande storia europea legata al nome di Lutero».

In questi trent’anni il mondo sembra cambiato profondamente. E, in effetti, la società in cui viviamo è profondamente mutata. Tuttavia le riflessioni che l’allora Vice Decano si poneva hanno valore ancora oggi.

Il senso dell’intesa, che fu uno snodo importante nel cammino di confronto con lo Stato Italiano, rimane quindi inalterato ancora oggi: quel cammino non si è spezzato, non si è interrotto. Merita l’impegno di tutte e tutti nell’oggi che ci è affidato. Un impegno di memoria ma anche di fiducia. Di riflessione ma anche di sviluppo. L’intesa avviò un cambiamento nella CELI, come era inevitabile. Quel “diritto di cittadinanza”, quel senso del dovere guardava e guarda alla “rinnovata promozione dei nostri compiti” nella società attuale. Cogliendone le inquietudini, certo, ma soprattutto le sfide che ci aspettano con fiducia e speranza.

L’eco del dibattito parlamentare che seguì la stipula dell’intesa sembra oggi così assente dal dibattito pubblico. Perché quell’intesa, in particolare, nel ricostruire una storia e dei legami antichi, poneva domande alla politica, alla società, al modello di società, inclusiva, che si voleva costruire.