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In Croazia vince l’equilibrio

Nella giornata di domenica i cittadini croati sono stati chiamati a votare per il rinnovo dello Hrvatski Sabor, il parlamento nazionale. Il risultato è stato un testa a testa tra il Partito socialdemocratico, di centrosinistra e al governo, e l’Unione democratica croata, il principale partito dell’opposizione. Entrambe le coalizioni, infatti, hanno ottenuto 56 seggi al parlamento, ai quali vanno sommati i tre conquistati dal centrodestra con il voto degli elettori residenti all’estero, per un totale di 59 seggi. In questo contesto, la principale novità è rappresentata dal partito centrista Most, fondato tre anni fa dal sindaco di Metković, una città della Dalmazia. «Ci si aspettava che fosse in crescita – racconta Giovanni Vale, corrispondente dalla Croazia per l’Osservatorio Balcani e Caucaso – , ma il risultato è stato al di là delle aspettative». Most, infatti, avrà 19 seggi in Parlamento, e considerando che la maggioranza in parlamento è di 76 membri su 151, avrà un ruolo chiave nella formazione di una coalizione.

Nonostante il voto di domenica sia stato il primo da quando la Croazia è membro dell’Unione europea, questo tema non ha avuto grande rilevanza nel dibattito elettorale, superato dalla crisi economica, che perdura nel paese da prima dell’ingresso nell’Unione europea, e dalla crisi migratoria.

Giovanni Vale, lei il 22 ottobre ha pubblicato un reportage dal confine tra Croazia e Slovenia, quello che ha definito un limbo. Nel frattempo, però, il 25 ottobre il vertice dell’Unione europea sulla gestione della rotta balcanica ha preso alcune decisioni importanti. Anche per la Croazia si può parlare di un “prima” e di un “dopo”?

«Sicuramente. Quel reportage l’avevo scritto da Brežice, una piccola cittadina al confine tra Croazia e Slovenia. Ora la situazione è cambiata notevolmente al confine croato-sloveno perché i rifugiati non si fermano più, non arrivano più a piedi, non vengono più scaricati in vari punti della frontiera in modo caotico, non devono più attraversare la frontiera a piedi. Ora le persone arrivano direttamente a Dobova, prima città slovena, e lì, dopo una rapida registrazione, vengono trasportati direttamente a Šentilj, al confine con l’Austria. Finché non ci sarà un numero di rifugiati superiore alle capacità delle autorità slovene, a Dobova tutto dovrebbe rimanere tranquillo».

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Images ©iStockphoto.com/Samir Delic

La Croazia è l’ultimo paese fuori dall’area Schengen e si è trovata negli ultimi due mesi a fare fronte a un flusso di persone molto diverso dalla norma. Cosa ci dice questo voto su come i croati hanno vissuto questa fase?

«La crisi migratoria che da metà settembre ha portato in Croazia oltre 350.000 persone, che poi sono passate in Slovenia e Austria, ha probabilmente favorito il governo di Zoran Milanovic, che ha saputo gestire questa crisi in modo fluido, senza incidenti, mantenendo il flusso di persone lontano dagli occhi dei cittadini comuni, quindi senza perturbarne la quotidianità. Al tempo stesso ha però saputo reagire con fermezza contro l’Ungheria, quindi criticando Orbán per la sua decisione di chiudere la frontiera, cosa che è piaciuta all’elettorato di sinistra, e ha saputo anche criticare il primo ministro serbo Vučić, inscenando una tre giorni di blocco della frontiera comune con tanto di camion bloccati al confine, andando incontro all’elettorato di destra, tradizionalmente critico verso la Serbia».

Con un governo di centrodestra cosa potrebbe cambiare nella gestione delle politiche migratorie?

«Un governo guidato dall’Unione democratica croata potrebbe essere più vicina a posizioni che potremmo definire orbaniane. Quando la crisi migratoria è iniziata, tra il 15 e il 16 di settembre, la presidente Kitarović, che esce dallo stesso partito, aveva allertato l’esercito e ventilato la chiusura della frontiera. Tuttavia non è detto che le frontiere si possano davvero chiudere nel caso di un governo guidato dal leader del centrodestra Tomislav Karamarko, perché la politica croata non è più indipendente come in passato: in sostanza il paese sarà allineato alle scelte della Germania. Se Angela Merkel dovesse decidere di chiudere le frontiera, e se anche Austria e Slovenia dovessero farlo, allora anche la Croazia bloccherà l’accesso meridionale. In caso contrario, invece, Karamarko continuerà con la stessa gestione del flusso, che peraltro vuole soltanto trasportare queste persone il più presto possibile fuori dal paese. Insomma, non stiamo parlando di una gestione molto caritatevole».

La Croazia è un paese di transito più che di arrivo. C’è però una quota significativa di persone che, attraversando la rotta balcanica, poi si fermano nel paese?

«No. L’ultimo dato ci dice che sono una cinquantina le persone che hanno deciso di fare domanda di asilo in Croazia. Questo è un paese che al momento non offre molte possibilità economiche: la disoccupazione giovanile è al 50% e quella generale al 16%, è un paese che esce appena dalla recessione, con un debito pubblico molto alto e una situazione di deficit. Non è una destinazione molto attraente per chi vuole ricostruire la propria vita».

In Slovenia alcuni alti prelati avevano parlato di una minaccia di islamizzazione della società. È successo qualcosa del genere anche in Croazia?

«No, per il momento no, anche perché il transito in Croazia avviene molto rapidamente, le persone restano al massimo per 48 ore, generalmente 24 se non meno. Adesso i treni dalla Serbia partono da Šid e arrivano direttamente a Slavonski Brod, dove è stato allestito un nuovo campo invernale; da lì, dopo una sosta veramente rapida, il treno li porta direttamente in Slovenia.

La Croazia è un paese al 90% cattolico, ma in campagna elettorale la dimensione religiosa non è stata portata nel dibattito. La destra ha tentato la via della sicurezza, parlando timidamente del rischio di attentati, ma fino a questo momento la politica non ha speculato troppo sui rifugiati.

Nonostante una situazione inedita, il voto è in continuità con quelli degli anni precedenti e le destre estreme non hanno sfondato, raccogliendo soltanto due seggi, che hanno però un valore più folkloristico che effettivo, privo di peso per la politica nazionale».

Foto copertina. Images ©iStockphoto.com/Samir Delic