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Futuro in bilico per i bambini Rohingya

L’Unicef ha recentemente pubblicato un rapporto sulle condizioni degli oltre 500mila bambini Rohingya ammassati nei campi profughi del Bangladesh al confine con il Myanmar.

Secondo il rapporto, dal titolo «Allerta bambini Rohingya: futuro in bilico, costruire la speranza per la generazione dei bambini Rohingya» (Rohingya Child Alert: Futures in the Balance, Building Hope for a Generation of Rohingya Children), i minori che vivono da un anno negli accampamenti di fortuna «non hanno accesso al sistema d’istruzione. Sono necessari sforzi internazionali urgenti per prevenire che essi cadano nella più completa disperazione e frustrazione».

L’Unicef avverte che i minori ammassati «nei soffocanti campi profughi di fortuna [del distretto] di Cox’s Bazar hanno davanti a sé un futuro tetro, con poche opportunità d’imparare e nessuna idea di quando potranno fare ritorno a casa».

Da tempo diverse Ong locali sottolineano le difficoltà dei minori, che sono i soggetti più indifesi nell’emergenza profughi. Secondo il nucleo per i Rohingya del Disaster Management and Relief Ministry, in tutto quasi 700mila sfollati sono scappati dal Myanmar dal 25 agosto 2017, quando sono riprese le violenze tra i militanti musulmani dell’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa) e i militari dell’esercito. I fuggitivi si aggiungono ad altre 200mila persone che sono scappate negli anni scorsi dal Myanmar.

La maggior parte di loro vive accampata in baracche di fortuna nella zona di Cox’s Bazar, e sopravvive grazie all’aiuto di agenzie umanitarie. Nei mesi scorsi i governi di Dhaka e Naypyidaw hanno raggiunto l’accordo sul rimpatrio dei profughi, che doveva iniziare a gennaio 2018. Invece le operazioni di reinsediamento procedono a rilento, come evidenziato dalla Commissione consultiva per il Rakhine che la settimana scorsa ha concluso i suoi lavori. Essa ha anche affermato che gli sforzi e i progressi del governo birmano per risolvere la crisi «sono apprezzabili, ma resta ancora molto lavoro da fare».

Alla denuncia dell’Unicef si aggiunge il dossier pubblicato a Ginevra il 26 agosto scorso da una commissione dell’Onu secondo cui le violenze contro i Rohingya nel Myanmar sono genocidio. Il rapporto delle Nazioni Unite evidenzia che c’erano state ondate di volenza nel 2012 e nel 2016, ma quella cominciata il 25 agosto del 2017 è descritta come «una prevedibile e pianificata catastrofe». Secondo la commissione Onu, che ha raccolto in 400 pagine prove e testimonianze nei villaggi dei Rohingya bruciati e bersagliati con armi pesanti, «le tattiche dell’esercito regolare sono state del tutto sproporzionate rispetto alla minaccia alla sicurezza». Soprattutto, «il livello dell’organizzazione della campagna militare, la scala della brutalità e della violenza, indicano un piano per la distruzione della minoranza che equivale al genocidio». Materia per la Corte penale internazionale dell’Aia.

Il dossier Onu chiama in causa anche Aung San Suu Kyi, che dal 2015 guida il governo civile del Paese, e alla quale è addebitato un assordante silenzio dettato dalla realpolitik. E critiche sono riservate anche alle Nazioni Unite, perché se il genocidio è stata la conclusione di decenni di soprusi sistematici nei confronti della minoranza musulmana, nello stesso tempo la comunità internazionale ha attuato una politica della «diplomazia silenziosa», fallendo nella difesa dei diritti umani.