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Ginevra adotta una legge sulla laicità… ed è subito polemica

Con 63 voti a favore, 25 contrari e 3 astenuti, il 26 aprile il Gran Consiglio ginevrino ha approvato un progetto di legge sulla laicità i cui obiettivi sono «proteggere la libertà di coscienza, di credo e di non-credo; preservare la pace religiosa; definire un quadro appropriato per le relazioni tra le autorità e le organizzazioni religiose».

Ginevra è diventato così il primo cantone svizzero a dotarsi di una legge su questo tema, ma questa ha subito suscitato proteste, ed è partita la raccolta delle firme per un referendum abrogativo (addirittura 4 i comitati promotori) che dovrà raggiungere entro il 20 giugno quota 5227 (il 2% degli elettori). Parallelamente il partito ecologista dei Verdi e le chiese evangeliche del Reg (Réseau évangélique de Genève) hanno presentato ricorso alla Corte costituzionale contro diversi articoli della legge, anche se non contro la legge in toto che, hanno spiegato, ha molti punti positivi, come ad esempio l’accesso alla cappellania per le varie comunità religiose.

Anche le chiese protestante, cattolica romana e cattolica cristiana, pur esprimendo i loro timori in un comunicato stampa congiunto, hanno ribadito il loro sostegno complessivo alla legge, manifestando riconoscenza «per questa presa di coscienza da parte delle autorità pubbliche», rilevando che «malgrado alcuni punti critici, sono state poste le basi per una comprensione assai “ginevrina” della laicità, ben lontano da certe tentazioni o tensioni laiciste […]: cioè che la laicità non traduce un disinteresse o una sfiducia dello Stato verso le questioni religiose, ma una neutralità attenta, informata , responsabile e rispettosa». In particolare, il comunicato sottolinea alcuni importanti passi avanti: il riconoscimento dell’importante lavoro svolto dalle comunità religiose in ambito sociale e spirituale (in contesti quali ospedali, prigioni…); il rafforzamento del principio di un insegnamento del fatto religioso nelle scuole pubbliche, «necessario a una buona comprensione del mondo attuale»; l’estensione ad altre comunità religiose della contribuzione volontaria. Nel cantone ginevrino, infatti, così come in quello di Neuchâtel (gli unici a dichiararsi laici), la tassa ecclesiastica è facoltativa, ma il cantone si incarica di raccogliere le contribuzioni (effettuate con la dichiarazione dei redditi) e ridistribuirle tra le varie confessioni. Proprio questo “servizio” dello Stato inizialmente sembrava essere messo in discussione dalla legge, ma alla fine è stato mantenuto.

I punti critici, espressi dal comunicato delle tre chiese, e sui quali si sono accese le polemiche e le iniziative referendarie, riguardano alcuni divieti: tenere manifestazioni religiose su suolo pubblico, portare il volto coperto negli edifici pubblici e portare (quest’ultima prescrizione riguarda però i funzionari pubblici, a tutti i livelli) «segni religiosi ostentati». Queste limitazioni, viene osservato, restringono in qualche modo la libertà religiosa o di credo del singolo. Le tre chiese cristiane ritengono inoltre che la legge non sia soddisfacente riguardo alla gestione degli immobili ecclesiastici, un patrimonio storico rilevante, il cui onere è ricaduto su di loro non senza conseguenze.

A riportare la notizia sono il giornale Réformés e l’agenzia stampa Protestinfo, descrivendo una situazione assai particolare e sottolineando che questa legge non nasce dal nulla, ma deriva dalla nuova Costituzione nel 2012, nella quale viene indicato genericamente che «le autorità intrattengano delle relazioni con le comunità religiose». Occorreva definire meglio la natura di tali relazioni, e su questo ha lavorato un’apposita commissione, presentando la propria relazione al Consiglio di Stato, che l’ha rielaborata con la Commissione per i diritti dell’uomo. Il dibattito resta aperto, non soltanto in attesa dell’esito della raccolta firme, ma lo sarà anche dopo l’eventuale referendum.

Nella foto la cattedrale di Ginevra