Indagine sul nazionalismo cristiano

La Chiesa Presbiteriana in America ha votato la costituzione di un comitato che studi l’influenza del nazionalismo all’interno della confessione teologicamente conservatrice

 

Giovedì 26 giugno, la 52esima Assemblea generale della Chiesa Presbiteriana in America (PCA), che si è svolta a Chattanooga, Tennessee, ha approvato con una significativa maggioranza (1.708 voti favorevoli e solo 28 contrari) due proposte relative alla questione dello studio del nazionalismo cristiano.

La proposta n. 3, intitolata “Istituire un Comitato ad Interim sul Nazionalismo Cristiano” e avanzata dal Presbiterio dell’Arizona, chiedeva la creazione di un comitato per «studiare il rapporto tra nazionalismo cristiano, ricostruzionismo teocratico e punti di vista simili ritenuti necessari dal comitato».

«Inoltre – si leggeva nella proposta – il comitato dovrà fornire un parere sulla conformità di questi punti di vista e formulazioni con il sistema dottrinale insegnato negli Standard di Westminster o su dove possano divergere da esso. (…) Il comitato dovrà redigere un rapporto che fornisca indicazioni pastorali per rivolgersi alle congregazioni, ai nuovi membri e ai futuri dirigenti della PCA».

 

La proposta 4, intitolata “Istituire un Comitato di Studio ad Interim sul Nazionalismo Cristiano”, presentata dal Presbiterio del Sud Texas, ha rilevato che all’interno della PCA si è svolto un dibattito sul «rapporto tra Chiesa e Stato che si è sviluppato sotto l’ampio termine di Nazionalismo Cristiano».

«C’è stato disaccordo e confusione riguardo a ciò che questi diversi punti di vista insegnano effettivamente; queste differenze hanno causato confusione, divisione e dissenso tra i fedeli delle chiese della PCA e hanno turbato i pastori e i leader della PCA», spiegava la proposta.

«Inoltre, il comitato dovrà esprimere un parere sulla conformità di questi punti di vista e formulazioni con il sistema dottrinale insegnato negli Standard di Westminster o su eventuali divergenze».

 

In questi ultimi anni il termine “nazionalismo cristiano” è stato oggetto di ampio dibattito nella politica americana moderna, spesso identificato come la fusione tra fede cristiana e patriottismo americano.

I conservatori cristiani hanno sostenuto che il termine “nazionalismo cristiano” sia semplicemente una diffamazione nei confronti dei cristiani che si impegnano nella difesa di principi conservatori. Durante una tavola rotonda ospitata dal Christian Post lo scorso agosto, Bunni Pounds, che ha prestato servizio per 16 anni come consulente politico per i membri del Congresso prima di fondare il gruppo di advocacy politica Christians Engaged, osservava che il termine “nazionalismo cristiano” viene quasi sempre utilizzato nei media per riferirsi al sostegno dei cristiani conservatori, ma non viene mai utilizzato nel contesto dei cristiani progressisti le cui convinzioni religiose ispirano la loro attività politica.

«Si parla sempre della destra evangelica e del nostro impegno a mobilitare gli elettori per i nostri valori pro-famiglia e pro-vita, ma non si parla mai della sinistra progressista che usa le chiese per mobilitare gli elettori cristiani», ha affermato. «Quindi l’etichetta di nazionalismo cristiano viene appiccicata ai cristiani evangelici, credenti nella Bibbia, pro-vita e pro-famiglia, e nessun altro cristiano viene etichettato in altro modo», ha aggiunto Pounds. «Quindi è questo il problema, giusto? Non stiamo parlando di mobilitazione degli elettori, ma di come noi veniamo etichettati per il nostro impegno a mobilitarli».

 

I progressisti, tra cui Amanda Tyler, direttrice esecutiva del Baptist Joint Committee, hanno denunciato il nazionalismo cristiano in quanto «in contrasto con il principio fondamentale del cristianesimo, ovvero che Gesù Cristo è il Signore», e in quanto «pervasivo in tutta la società americana». «Il nazionalismo cristiano esige la massima lealtà al potere politico piuttosto che a Dio. E quindi può diventare idolatrico», ha dichiarato Tyler al Christian Post in un’intervista del 2021.