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Mafia Capitale, niente di nuovo sul fronte criminale

L’inchiesta della Procura di Roma sul “Mondo di mezzo”, o “Mafia Capitale”, due termini scelti dagli stessi magistrati per raccontare il sistema criminale che a Roma controllava appalti e finanziamenti pubblici, continua ad ampliarsi giorno dopo giorno.

Cercando di fare ordine nella grande mole di informazioni fin qui emerse, secondo i magistrati il capo di quella che si ritiene essere una “cupola” era Massimo Carminati, un ex terrorista di estrema destra in passato vicino alla banda della Magliana che, grazie ai contatti con l’entourage dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, sarebbe passato dal recupero crediti con metodi violenti alla partecipazione a gare d’appalto in favore di suoi complici. L’altra persona al centro dell’inchiesta è Salvatore Buzzi, fondatore della cooperativa di ex carcerati “29 Giugno” e diventato negli anni direttore di un consorzio di cooperative che gestivano, tra le altre cose, alcuni campi rom e centri di accoglienza per migranti. Secondo i magistrati, diversi appalti erano stati ottenuti grazie alla corruzione di politici e amministratori, e le rivelazioni della giornata di mercoledì 10 dicembre parlano di evidenti contatti tra il “Mondo di mezzo” e la ‘ndrangheta calabrese.

Ma stiamo parlando di un modello inedito di criminalità organizzata? Secondo Alberto Vannucci, docente di Scienze politiche all’Università di Pisa, dove è direttore del Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, la risposta è no: «le caratteristiche della criminalità organizzata – racconta – sono tali da permettersi di adattarsi, come in questo caso, alla situazione e al contesto in cui si sviluppa».

In effetti l’ipotesi della procura di Roma è quella di una “mafia autonoma” innestata su un mondo di corruzione già sviluppato in modo autonomo e imprevedibile. La presenza di membri dell’ex banda della Magliana e di alcune organizzazioni terroristiche di estrema destra, a loro volta in passato già coinvolte in vicende che chiamavano in causa la P2 e i servizi segreti italiani, viene considerata il vero “valore aggiunto” portato da Carminati: «la mafia romana – afferma Vannucci – garantiva ordine, disciplina e prevedibilità alle condotte di molti protagonisti di questa rete capillare di corruzione».

Queste considerazioni ci portano ad una nuova domanda: com’è possibile che nessuno si fosse accorto finora dell’esistenza tutto questo? Per capirlo, è necessario pensare al sistema della corruzione come a un modello “a compartimenti stagni”, in cui si tende, e in molti casi si riesce, a evitare che ci sia una diffusione di informazioni compromettenti verso l’esterno nei confronti di chi sta dentro al sistema criminale. «Chi potrebbe parlare troppo ha un forte incentivo a tacere, e spesso è sufficiente la minaccia di una ritorsione violenta», continua Alberto Vannucci, eppure in una vicenda come quella romana le dimensioni, l’ampiezza e la sua capacità di incidere in profondità in tanti processi decisionali, appalti e forniture, che sicuramente avevano ricadute anche in termini di perdita di qualità, è difficile immaginare che il tessuto di corruzione fosse davvero sconosciuto.

«Si vede chiaramente – continua Vannucci – l’inquinamento che la corruzione produce nella democrazia: chi doveva parlare veniva dissuaso dal fatto che la sua denuncia avrebbe potuto incidere negativamente su quel processo elettorale da cui magari dipendevano anche le sue fortune e quelle del suo partito. Il coinvolgimento bipartisan, in continuità tra amministrazioni, aumentava la ricattabilità incrociata dei protagonisti: chiunque avrebbe potuto denunciare e far saltare il banco, ma sapeva che la sua denuncia avrebbe prodotto un danno anche alla sua parte politica».

Insomma, non cambiano gli schemi e non cambiano i protagonisti. In un paese in cui, a fronte di una popolazione carceraria di 50.000 individui, soltanto 11, o forse addirittura 3 secondo le stime del magistrato Raffaele Cantone, sono in prigione per reati legati alla corruzione, è la politica a dover imporre una svolta, accettando per una volta che le ricadute delle proprie azioni non si esauriscano in una legislatura. «Gli annunci di questi giorni a proposito di grandi colpi di spugna contro la corruzione – conclude Vannucci – non servono: bisogna imparare a prevenire e partire dalle scuole e dalle istituzioni».

Foto: “Roma dall’aereo” di Oliver-BonjochOpera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.