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Marianita Montresor, una vita di testimonianza e di dialogo

Nella notte tra il 14 e il 15 novembre è tornata tra le braccia del Signore Marianita Montresor, donna coraggiosa e forte come poche altre persone che io abbia incontrato. Mi piace dirlo con un’immagine così tenera, perché è proprio così che Marianita se ne è andata. Ha amato la vita fino all’ultimo giorno in cui ha vissuto, continuando a ridere e scherzare persino nei momenti in cui chiunque di noi si sarebbe fatto prendere dallo scoraggiamento, e contemporaneamente ha continuato a lodare il Signore. Fino all’ultimo, ha testimoniato a tutti noi che le stavamo accanto la sua riconoscenza al Padre che le aveva permesso di essere circondata da tanto amore. Se ne è andata sorridendo, pur non avendo mai smesso di sperare di poter aver ancora un po’ di tempo qui sulla terra. Per noi che le siamo state accanto è stata una testimone straordinaria di fede, coraggio, amore per il Signore, totale fiducia nella certezza che quello che Lui aveva predisposto per lei fosse la cosa migliore.

Marianita Montresor era nata a Verona nel 1956. Era stata insegnante di religione cattolica a Verona, prima nel liceo artistico della città e successivamente in quello psico-pedagogico. Dopo il baccellierato conseguito allo Studio teologico san Bernardino, aveva ottenuto nel 2009 la licenza in Teologia presso la Pontificia Università Antoniana, con specializzazione in studi ecumenici. Aveva conosciuto l’ecumenismo negli anni Ottanta, quando da studentessa presso lo Studio teologico aveva potuto seguire, occasionalmente, qualche lezione all’Ise (Istituto di Studi ecumenici), che allora aveva sede a Verona e dove aveva potuto ascoltare Ignace de la Potterie, Paolo Ricca, Luigi Sartori e Renzo Bertalot. La sua tesi di laurea, sostenuta con Tecle Vetrali, aveva come titolo Una spiritualità ecumenica per l’oggi. Il modello di Luigi Sartori.

Io l’avevo conosciuta al Sae (Segretariato Attività Ecumeniche) di Verona quando era succeduta a Paola Peloso come responsabile del gruppo locale. Paola Peloso l’aveva scelta perché aveva visto in lei, nonostante la sua timidezza e la sua estrema umiltà, la donna forte e piena di temperamento che abbiamo successivamente potuto conoscere. In effetti, era davvero molto riservata e umile, soprattutto all’inizio del suo percorso nel Sae, di un’umiltà genuina e perfino un po’ imbarazzante, soprattutto quando si trasformava in stima e apprezzamento per gli altri. Perché aveva le idee chiarissime su che cosa ritenesse meglio o peggio: riservata, gentile, ma sempre determinata: non aggrediva mai il proprio interlocutore, poteva talvolta sembrare perfino un po’ impacciata, ma sapeva esattamente di chi fidarsi e di chi no. Ha sempre cercato nella preghiera e nella lettura della Bibbia la risposta alle tante questioni che ha dovuto affrontare nel corso dei suoi studi teologici, nella presidenza del Sae (cui era approdata nel 2012), durante la sua lunga malattia.

Ha creduto profondamente e fino in fondo nell’ecumenismo, in primo luogo per obbedienza alla volontà del Signore, ma anche perché aveva il dono di percepire la ricchezza dell’altro, di accogliere i suoi punti di forza e di saperli apprezzare. Amava profondamente la chiesa valdese-metodista e tutti noi ci eravamo abituati a vederla al Sinodo, dove ascoltava attenta i dibattiti e le discussioni. Ogni tanto veniva anche a trovarci nella chiesa valdese di Verona; l’ultima volta è stato in occasione della Festa della Riforma, poche domeniche fa. Ha mangiato e chiacchierato con noi, vivendo al nostro fianco e con noi la nostra gioia.

Per il suo rito funebre, del quale negli ultimi giorni discorreva con serenità molto maggiore di quella dei suoi interlocutori, ha chiesto una celebrazione ecumenica: ha voluto che tutti insieme, ortodossi, protestanti e cattolici, ci riunissimo nella chiesa di don Marco Campedelli, amico del Sae e di molti evangelici da tanti anni, per elevare insieme la lode al comune Signore.

Immagine di Laura Caffagnini