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Radio Ghetto, c’è chi dice no

Sfogliando l’albo d’oro del premio Cuffie d’Oro 2015, quest’anno non si troverà nessuna voce dedicata alle emittenti di carattere sociale. Eppure il premio era stato assegnato, ma i vincitori hanno deciso di non accettarlo.

Protagonista di questa storia è Radio Ghetto, un’emittente radiofonica nata nell’estate del 2012 in Puglia, nelle campagne vicino a Foggia, per cercare di dare voce ai braccianti africani sfruttati dal caporalato agricolo. In particolare, la radio ha la sua sede proprio in una baracca del Gran Ghetto di Rignano Garganico, un luogo che nella stagione estiva ospita circa 2.500 persone, un decimo di tutti i braccianti stagionali stranieri in Puglia che ogni anno sono impiegati nella raccolta del pomodoro. «Noi la radio la facciamo per loro e con loro», racconta Marco Stefanelli, uno dei membri della redazione di Amisnet che tre anni fa diede vita al progetto.

Quest’anno la giuria del premio Cuffie d’Oro ha deciso di riconoscere il lavoro svolto da Radio Ghetto nelle campagne pugliesi premiandolo come miglior radio che si occupa di tematiche sociali. Tuttavia, da parte vostra si è deciso di rifiutare il premio. Perché?

Ci sono state riflessioni legate al tipo di radio che viene premiato in questi contesti, emittenti private nazionali con una forte identità commerciale, ma soprattutto abbiamo svolto un ragionamento sul modello di Expo 2015, ovvero il luogo che ha ospitato la premiazione quest’anno, in rapporto a quanto raccontiamo noi dalle nostre frequenze.

La questione è questa: il sistema di sfruttamento che vediamo ogni giorno e contro il quale cerchiamo di lottare e di dire qualcosa attraverso le trasmissioni di Radio Ghetto è portato avanti in grossa parte dalle grandi aziende di trasformazione del pomodoro e della grande distribuzione organizzata, e sono loro i responsabili del protrarsi di un sistema paraschiavistico come questo. Visto però che queste aziende si tirano indietro di fronte a queste responsabilità, non soltanto a proposito del pomodoro, noi non possiamo ricevere un premio in quella che è la loro fiera. È innanzitutto una questione di coerenza, ed è questa riflessione che ci ha portato anche a scrivere e inviare un comunicato stampa nel quale abbiamo motivato la nostra decisione. Non è stato soltanto un “no”.

La vostra è una realtà orgogliosamente piccola, che tuttavia è stata notata ed inserita tra i premiati, in mezzo a tante emittenti molto grandi. È il segno che qualcosa sta cambiando?

Il sospetto che Radio Ghetto sia arrivata a prendere questa nomination perché quest’estate ci sono stati molti più articoli dedicati al caporalato anche sulla stampa generalista c’è. Però non ci si deve fermare a questo: il problema che noi raccontiamo è difficile da comunicare all’esterno e quindi non sempre le persone sanno cosa c’è davvero dietro Radio Ghetto.

Noi esistiamo perché esiste un sistema di sfruttamento, vorremmo smettere di esserci perché speriamo nell’abbattimento di questo sistema paraschiavistico.

C’è stata qualche manifestazione di interesse da parte delle istituzioni?

È sempre difficile poterlo dire. Quando si arriva la stagione estiva se ne parla un po’ di più, e quest’anno abbiamo letto moltissimi articoli che hanno raccontato della morte dei braccianti nelle campagne. È ovvio che lo stato non può stare in silenzio, infatti il ministro Martina e altri hanno alzato la voce contro il fenomeno del caporalato.

Detto questo, per ora non è ancora stato fatto niente, speriamo che in vista della prossima stagione qualcosa si muova e soprattutto si muova in tempo, aprendo già all’inizio del prossimo anno i tavoli con le associazioni datoriali, i sindacati e magari anche con le piccole realtà che lavorano e conoscono bene il problema dello sfruttamento dei braccianti.

Limitatamente allo scenario in cui vi muovete, quello pugliese, con l’avvicendamento tra Vendola e Emiliano c’è stato un qualche cambiamento in una direzione o nell’altra?

Diciamo che non sono stati determinanti tanto i cambi al vertice quanto il fallimento dell’ambizioso piano regionale attivato lo scorso anno e chiamato Capo free ghetto off. Si puntava alla chiusura del Gran Ghetto e all’abolizione del caporalato con incentivi alle aziende e liste di prenotazione. Addirittura, la Regione aveva finalmente mandato gli ispettori del lavoro e gli stessi sindacati in giro per i “ghetti” a raccogliere i nomi di coloro che volevano essere assunti regolarmente. Il problema però, ed è qui che è triste vedere il silenzio delle istituzioni, è che chi in quel caso ha mancato l’occasione sono state proprio le aziende, che come ha denunciato la Flai-Cgil non hanno in nessun caso assunto regolarmente i braccianti, nonostante gli incentivi compresi tra i 300 e i 600 euro che erano garantiti dallo Stato.

Ecco, forse un’attenzione maggiore sulle aziende è fondamentale e ulteriori piani di sviluppo e di trasformazione, miglioramento, riforma, non possono non prendere in considerazione la responsabilità di questi soggetti. Quest’anno non si è riusciti a far niente perché forse anche il cambio di giunta ha rallentato tutto, e la sconfitta del grande piano dell’anno scorso bruciava ancora. Noi comunque non ci fermiamo e speriamo che il prossimo anno possano davvero cambiare le cose.