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Sinodo Río de la Plata. Moderatora Tron: agire e trasformare

E’ in corso, dal 2 al 6 febbraio nella città di Playa Fomento in Uruguay, la 56ª edizione del Sinodo della Chiesa evangelica valdese del Rio de la Plata, che riunisce le comunità dell’Uruguay e dell’Argentina. L’Agenzia Nev ha intervistato alla vigilia dell’assemblea la pastora Carola Tron moderadora della Mesa valdense, organo esecutivo della Chiesa evangelica valdese del Río de la Plata.

– Un bilancio sul lavoro dell’anno appena passato.

«Il Sinodo è sempre un momento in cui come Mesa ci interroghiamo e facciamo memoria del nostro lavoro dell’anno. Ovviamente spetta all’assemblea fare un bilancio e una valutazione delle nostre attività; a noi spetta guardare indietro e meditare sulle sfide, le difficoltà e anche le attività che ci hanno permesso di realizzare quanto ci eravamo proposti. In questo senso direi che è stato un anno molto regolare, senza particolari momenti di crisi. Un fattore che incide sul nostro agire è quello di una quotidianità in cui le comunicazioni sono molto rapide e in cui è cambiato il modo di vivere e operare delle istituzioni, con la conseguenza che il nostro lavoro risulta da una parte molto più fluido e dall’altra, però, molto più incalzante. Questo rende il nostro compito più stressante e allo stesso tempo più efficace perché possiamo risolvere più situazioni contemporaneamente quando nel passato ci volevano anche mesi. Altra cosa che ritengo importante precisare è che la grande mole di lavoro che abbiamo svolto come Mesa è da ascrivere all’ottimo gruppo di persone che la compone».

– Quali sono le sfide che la Chiesa evangelica valdese del Río de la Plata ha affrontato nell’ultimo periodo?

«L’anno passato ci siamo trovati a dover sostenere tutti gli eventi legati alla chiusura della Facoltà di teologia a Buenos Aires e ancora è in itinere la situazione della biblioteca, custodita da cinque chiese tra cui quella valdese. Abbiamo affrontato anche delle sfide nel campo sociale e in questo ci hanno aiutato molto le decisioni e gli atti del Sinodo; si tratta di tematiche che hanno a che vedere con la diversità, la lotta per i diritti umani, con l’impegno sociale della chiesa, che è ovviamente legato all’identità protestante riformata e al nostro pensiero ecumenico».

– Che domande arrivano dalla società e come vi state attrezzando per affrontarle?

«Credo che gli anni che stiamo vivendo presentino non solo difficoltà contingenti, legate a crisi specifiche, ma una grande domanda di senso sui paradigmi a cui finora ci siamo affidati, che attraversano l’ecumenismo e che ci dovrebbero spingere a riflettere e ripensare i modelli sui quali ci organizziamo. Questo ovviamente non è solo un compito della Mesa ma di tutta la comunità e del Sinodo, nel quale dobbiamo coinvolgere le nuove generazioni. Altro impegno che sentiamo è quello di legare la giustizia sociale ed economica al Vangelo, andando oltre uno sguardo puramente spirituale o individualistico e ragionando sempre in un’ottica comunitaria. Ci sono state discussioni e riflessioni, sia in Argentina sia in Uruguay, su alcune leggi dello Stato; è stato importante poter accompagnare i nostri paesi grazie a quelle risorse che la Mesa ha a disposizione, come espressione delle precedenti assemblee sinodali che hanno avviato la riflessione su queste tematiche. In questo senso spero che anche questo Sinodo possa produrre nuovi strumenti e riflessioni proprio sui temi in cui è importante come chiesa avere una voce comune, in modo che la prossima Mesa possa essere presente e manifestare un’opinione forte nel principio della libertà cristiana. Poter discernere insieme è fondativo della nostra identità protestante».

– Quali sono i punti qualificanti del lavoro nei prossimi anni?

«Ci avviciniamo sempre di più a una situazione di cambio di paradigmi che riguarda non solo le istituzioni ma anche la società, le nuove generazioni. In questa trasformazione le istituzioni possono essere un accompagnamento importante ma spesso possono entrare in crisi e generare quindi delle spaccature. Il fatto che non ci siano nuove vocazioni pastorali, o che ci siano vocazioni che però non si riconoscono nel ministero formale, o che la Chiesa valdese non abbia risorse per rispondere alle necessità pastorali delle chiese locali secondo il modello che abbiamo finora conosciuto, è una realtà. Questo non possiamo cambiarlo e quindi dobbiamo essere disposti all’ascolto, all’interpretazione, ed essere capaci di immaginare come costruire la chiesa della nuova generazione. Questa è la grande sfida, non per la Mesa, ma per il Sinodo e per le comunità; è importante che si possano condividere queste preoccupazioni in assemblea e poter riflettere e dare incarico alla nuova amministrazione di individuare nuovi modelli istituzionali che accompagnino le trasformazioni che la realtà ci porta. Speriamo che, con l’aiuto del Signore, quello che ci apprestiamo a vivere sia un incontro e uno spazio di celebrazione, di rinnovamento nella fede e di energia per immaginare questa chiesa che vogliamo continuare a costruire insieme nel mondo».