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Status Confessionis: il documento di Bangkok

 Ieri abbiamo pubblicato un articolo del pastore Bruno Gabrielli al fine di avviare una serie di riflessioni dedicate alla questione dello status confessionis

Ne avevano parlato le Conferenze distrettuali di giugno 2019 e poi il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste in agosto; ora le singole comunità stanno discutendo il tema. 

Il dibattito dell’estate ha preso il via a partire da un documento elaborato in una consultazione della Comunione mondiale di Chiese riformate (Bangkok, dicembre 2018), pubblicato sul sito chiesavaldese.org, che qui proponiamo perché ognuno e ognuna possa farne le considerazioni da portare in discussione:

 

Viviamo un momento cruciale della storia mondiale, e i cristiani saranno giudicati da come prendono posizione nei confronti dei più emarginati fra noi. In quanto tali noi, partecipanti alla Consultazione su Resistere alle culture della discriminazione, dell’autoritarismo e del nazionalismo in Bangkok, Thailandia, a dicembre 2018, abbiamo riconosciuto e testimoniato di una crescente tendenza mondiale verso il razzismo, il nazionalismo e l’autoritarismo. 

Siamo profondamente turbati da questa insidiosa avanzata imperialistica. Diamo eco alle parole che il dott. Allan Boesak ci ha offerto nel suo discorso d’apertura, secondo il quale siamo chiamati a «discernere, sfidare e smontare la natura idolatrica e blasfema dell’impero». Abbiamo riconosciuto di vivere in un momento di kairòs in cui Dio ci sfida ad agire con decisione. La reazione teologica appropriata, in questo momento, richiede lo status confessionis

Nel tempo trascorso insieme durante la consultazione, abbiamo appreso di esperienze comuni così come di lotte specifiche dei nostri differenti contesti. Si è dedicata particolare attenzione a come stravolgere e smontare le norme teologiche e bibliche dominanti. Nel contestarle con le nostre lotte per la giustizia, l’uguaglianza, la parità e la dignità sullo sfondo dell’attuale fenomeno mondiale del diffondersi di versioni escludenti del concetto di nazione, è risultato chiaro che quest’ultime si sono modellate facendo ricorso a risorse religiose e culturali dominanti e opprimenti. Esse includono la politica della paura, della xenofobia e dell’odio, la demonizzazione delle minoranze religiose ed etniche e delle comunità oppresse, la soppressione dei diritti e della libertà in nome di inesistenti minacce alla sicurezza nazionale, lo sviluppo di normative rivendicanti l’integrità nazionale e un completo disprezzo per le istituzioni democratiche. Crediamo che tutto ciò sia deleterio non solo per gli emarginati, ma anche per l’integrità morale del nostro mondo. 

Perciò ci siamo concentrati sulla reinterpretazione della Bibbia e delle dottrine teologiche, ma siamo andati anche oltre, considerando come la tradizione abbia sostenuto e modellato l’imperialismo culturale e come potremmo fedelmente sfidare tali norme, per quanto radicate ed enfatizzate. Abbiamo riconosciuto la comunanza delle esperienze di oppressione delle persone di origine africana negli Stati Uniti e delle comunità dalit in India che abbiamo condiviso, ci siamo resi consapevoli di esperienze simili riguardanti altre comunità emarginate in tutto il mondo e affermiamo la necessità di un approccio trasversale a queste espressioni di male sistemico. 

Dichiariamo che quest’ultimo si manifesta nelle sempre peggiori esperienze delle persone di origine africana nelle Americhe, dei dalit in India e di altri popoli indigeni in tutto il mondo. Prendiamo atto degli attacchi sfrenati e della violenza contro i dalit da parte dei sostenitori del sistema delle caste; degli assassinî di donne e uomini neri da parte di agenti governativi e di gruppi di nazionalisti bianchi spinti dall’odio e istigati e incoraggiati da un consenso politico e governativo talvolta tacito, talvolta esplicito. Riconosciamo le crescenti violenze, gli stupri, la violenza sessuale e riproduttiva contro donne e bambine dalit e nere nei nostri rispettivi paesi. Abbiamo preso atto dell’accesso limitato ad abitazioni adeguate, ad acqua pulita e a cibo salutare; della proliferazione delle intimidazioni degli elettori, della manipolazione dei collegi elettorali e di altre tattiche che limitano l’accesso al diritto di voto; delle crescenti disuguaglianze di reddito; della mancanza di sistemi sanitari e dell’istruzione e della ghettizzazione di tali popolazioni nei nostri contesti. Per dirla semplice, denunciamo la mancanza del riconoscimento della piena dignità dei dalit e delle persone di origine africana in quanto esseri umani alla pari degli altri. 

Concludiamo dichiarando che una tale disumanizzazione, denigrazione e svalutazione di qualsiasi essere umano è peccato. Un tale comportamento vìola una fede cristiana secondo la quale tutti gli esseri umani sono ugualmente creati a immagine di Dio (Genesi 1, 26-27). Al contrario, noi riteniamo che la nostra fede sostenga con forza che siamo chiamati a trattare tutta l’umanità come nostro prossimo, così come noi stessi vorremmo essere trattati (Levitico 19, 18b; 33-34) chiamati da Dio a intervenire l’uno a favore dell’altro, quando nel bisogno (Luca 6, 27-31) – e che il nostro trattamento delle persone meno considerate fra noi debba evidenziare il nostro patto cristiano con Dio e l’uno con l’altro (Matteo 25, 31-46). Lo smascheramento di queste tendenze disumanizzanti dimostra che la chiesa è stata come minimo complice, e troppo spesso attiva nel creare, promuovere e accettare un tale peccato. Crediamo che la sola risposta morale per la chiesa sia la confessione, il pentimento e l’offerta di riparazioni. 

Dobbiamo promuovere un’autocomprensione dell’essere chiesa come comunità di partner nella missione affidataci da Dio. Dobbiamo affermare che questo partenariato non è esclusivo, ma aperto e inclusivo di tutti coloro che cercano la relazione con Dio e con l’umanità. Siamo obbligati a essere la testimonianza profetica che pronuncia un forte “no” a queste strutture disumanizzanti e idolatriche e un forte “sì” a realtà alternative, portatrici di vita. 

Perciò ci appelliamo alla Comunione mondiale delle Chiese riformate perché agisca ora, applicando, programmando e intraprendendo il processo dello status confessionis. Vi chiediamo di attirare l’attenzione internazionale sulle atrocità commesse, di impegnarvi nella promozione di riparazioni e di operare coraggiosamente per politiche in tal senso, a favore delle nostre e di altre comunità colpite. Intendiamo tutto ciò come una chiamata rivolta alla chiesa a creare, nutrire e associarsi a gruppi che lottano per la giustizia e la pace quali “The People’s Movement”, “The Poor People’s Campaign: A National Call for Moral Revival”, “The Civil Society Organization”, “The Samuel DeWitt Proctor Institute”, le Nazioni Unite, “The National Association for the Advancement of Colored People” e altre organizzazioni simili per affrontare insieme queste questioni. Chiediamo altresì che il Comitato esecutivo, oltre ad agire a livello di Consiglio generale, incarichi il Consiglio dell’area carìbica e nordamericana, la Regione dell’Asia meridionale e il Consiglio dell’area dell’Asia nordorientale di affrontare queste inquietanti tendenze nelle rispettive regioni. 

 

I partecipanti alla Consultazione 

Gnana Aloysius, India; Michael Blair, Canada; AIIan Boesak, Sud Africa; Iva Carruthers, Usa; Vasantha Rao Chilkuri, India; Joseph Prahakar Dayam, India; Aruna Gogulamanda, India; Nihkila Henry, India; Billy Honor, Usa; Lalitha Jayachitra, India; Michael Livingston, Usa; Deenabandhu Manchala, India; Monica Jyotsna Melanchthon, India; Immanuel Nehemiah, India; Kerri North Allen, Usa; Satvasheela Pandhare, India; Peniel Rajkumar, India; James Taneti, India; Rodney Sadler, Usa; Anne Smith, Usa; Mitzi Smith, Usa; Karen Georgia Thompson, Usa.

Partecipanti dello staff della Comunione mondiale di Chiese riformate

Chris Ferguson, Canada; Hanns Lessing, Germania; Philip Vinod Peacock, India; Abigail Scarlett, Giamaica 

(Traduzione dall’originale in lingua inglese di Bruno Gabrielli)