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Tortura: i cristiani dicono no

Quando qualcuno ci chiede: ma in che cosa Acat è diversa dalle altre organizzazioni che difendono i diritti umani? Noi non possiamo che rispondere in un modo: per lo spirito cristiano che l’ha generata e che continua a guidarne l’azione. Basta fare un piccolo passo indietro nel tempo, per ritrovare quelle che sono state le radici di una realtà che ormai conta affiliate in ogni parte del mondo e con Fiacat (la corrispondente Federazione internazionale) ha un ruolo presso le organizzazioni internazionali. Ma dicevamo il passo indietro…

Era marzo 1974 quando il pastore valdese italiano Tullio Vinay raccontò a Parigi dei metodi di tortura usati sui prigionieri politici in Vietnam. Hélène Engel, che ascoltò attentamente quelle parole, ne rimase talmente sconvolta che decise di impegnarsi in prima persona in un’azione di sensibilizzazione rivolta a tutte le Chiese… «Non posso dirmi cristiana e continuare a vivere come se non sapessi niente». In quanto appartenente alla Chiesa riformata di Francia era profondamente convinta che un’azione del genere non potesse non essere ecumenica, e così, accompagnata da Edith du Tertre, rivolse un appello accorato a tutti i cristiani senza distinzione alcuna, e diede vita a quella che oggi si chiama Acat (Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura). Tra le definizioni più calzanti di quale sia lo spirito che ci muove, quella del professor Paolo Ricca, proprio in occasione del trentennale della fondazione della prima Acat: «…. noi di Acat siamo un’Azione, non siamo un Discorso. Abbiamo agito. Ci era richiesto un atto, non pensieri o parole. Abbiamo fatto la stessa esperienza dei primi discepoli di Gesù, ai quali il Maestro un bel giorno ha detto: “Seguimi!” e noi l’abbiamo seguito. Non abbiamo potuto fare altrimenti. L’Acat è nata così, da una decisione improvvisa, da un atto subitaneo di obbedienza. Niente è stato preparato, niente è stato programmato, tutto abbiamo dovuto imparare. E a poco a poco abbiamo imparato, e stiamo ancora imparando».

Ed è esattamente così: stiamo ancora imparando. Impariamo, ogni giorno, che i diritti umani non sono mai dati una volta per tutte. Impariamo che la tortura non è un qualcosa che appartiene ai secoli bui della nostra storia, ma fa parte del nostro presente e, a volte, ci tocca molto da vicino. Ci basta ripercorrere con la mente le scene riprese all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, o ripensare a Giulio Regeni. Impariamo che chi si batte per difendere i diritti umani o i diritti dell’ambiente, viene minacciato e molte volte ucciso. Impariamo che regimi autoritari sono sempre dietro l’angolo, pronti a reprimere con violenza ogni forma di dissenso proveniente dai cittadini. Impariamo, purtroppo, che le nostre stesse democrazie non sono affatto immuni dal virus della tortura e che anzi, la stessa viene giustificata in nome della difesa dei valori democratici. Impariamo che non tutti hanno gli stessi diritti, non tutti hanno le stesse libertà, ma che dipende sempre dal lato di mondo che ti ha visto nascere. Impariamo che è più facile erigere muri anziché abbatterne e che è ancora lontano il giorno in cui vedremo sparire definitivamente e in ogni luogo il boia che dà la morte.

Ecco perché la nostra azione, l’azione di noi tutti, insieme, ha ancora senso e valore. Ecco perché continuiamo ad attivarci per risvegliare le coscienze. Lo facciamo da anni puntando soprattutto sui ragazzi, lavorando all’interno delle scuole e attraverso il nostro Premio di Laurea, sostenuto con i fondi dell’Otto per mille della Chiesa valdese. Lo facciamo, attraverso una costante attività di divulgazione e un invito all’azione. Ed è con questo spirito che per venerdì 10 dicembre, in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani, abbiamo in programma un evento speciale, sostenuto con i fondi dell’Unione Europea e dedicato ai minori stranieri soli. A partire dalle ore 9,30, presso il Cinema Troisi di Roma, avremo il piacere di presentare al pubblico italiano, il documentario Shadow Game – Un viaggio attraverso il lato oscuro dell’Europa, delle registe olandesi Eefje Blankevoort e Els van Driel. La proiezione fornirà spunto per il dibattito che terremo subito dopo e che sarà volto ad affrontare questioni legate alle politiche migratorie e al diritto d’asilo in Europa e in Italia, alla gestione delle frontiere sempre più blindate, ai tanti, troppi muri reali e metaforici che stanno diventando, negli ultimi anni, una pericolosa “normalità”.

* Massimo Corti è presidente di ACAT Italia